A Bookcity con Pagine Ebraiche Una giornata tra la gente
Si è chiusa nel segno di un successo crescente la quinta edizione di Bookcity, la manifestazione che a Milano per quattro giorni ha riempito di libri e di lettori, oltre che di autori e intellettuali e giornalisti, più di duecentocinquanta luoghi tra i più diversi: dai teatri alle chiese, dalle librerie ai circoli culturali. Successo è stato anche per la prima partecipazione della redazione di Pagine Ebraiche alla manifestazione, che nell’ultima giornata del festival ha organizzato tre appuntamenti: per il primo, tenutosi nel teatro Franco Parenti, la capienza del Digital Studio non è stata sufficiente ad accogliere tutti coloro che hanno scelto di rinunciare a una pigra mattinata per assistere alla discussione tra il filosofo Giulio Giorello, il giurista Carlo Melzi D’Eril e il sociologo Giovanni Ziccardi, interrogati dalla redazione su “La Rete, l’odio online e il ritorno alla giungla“.
La redazione si è poi spostata al circolo filologico, dove nella sala delle Colonne, il direttore, Guido Vitale, ha moderato l’incontro intitolato “Quando finisce questa Storia? Anima, corpo e destino nel pensiero di Serge Gruzinski e Yuval Harari“. Lo storico sociale delle idee David Bidussa e il direttore della fondazione Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano Gadi Luzzatto Voghera si sono confrontati sul senso e sull’importanza di una disciplina che, per Bidussa, “evidenzia immediatamente come gli individui scelgono di raccontare il proprio tempo e di dare ordine al passato”. Individuare i momenti di frattura, in cui la percezione della Storia cambia nettamente, lavorare sulla disseminazione della conoscenza e della consapevolezza anche confrontandosi con progetti sviluppati all’estero – Bidussa ha citato un lavoro francese sulla Prima guerra mondiale – pota gli studiosi a riprendere in mano l’idea di come si fa didattica, e a interrogarsi costantemente sull’importanza della conoscenza e della memoria storica. Luzzatto Voghera, associandosi alle parole di Bidussa, che ha definito “una difesa appassionata della storia”, ha sottolineato come i due spunti proposti da Guido Vitale per l’incontro fossero due testi che attaccano duramente la visione della storia come viene praticata dalle accademie e nei luoghi dove si praticano e producono testi di ricerca. Gruzinski si interroga su quali siano gli strumenti ancora utilizzabili in presenza di una società multiculturale in cui molti giovani arrivano da storie diverse, da narrazioni diverse: abbiamo prevalentemente strumenti eurocentrici, e non sono più adeguati. Nel sistema francese, per esempio, è in corso uno sforzo per ripensare la didattica della storia, e nel frattempo – ha spiegato – per l’americano medio la storia è un’ipotesi superflua, non fa parte programmaticamente della vita. Harari, invece, partendo da prospettive diverse, semplicemente cancella l’individuo e traccia una storia del genere umano, “seguendo un percorso abbastanza pericoloso che si basa anche su alcuni passaggi storici molto discutibili”.
Due testi che hanno in comune la necessità della multidisciplinarietà e che vedono il mestiere dello storico come non più sufficiente per affrontare in maniera compiuta le grandi trasformazioni che viviamo nel presente. Una sfida alla convenzione dello storico, che però ha portato i partecipanti all’incontro a sottolineare con grande convinzione che più che mai oggi la storia è necessaria, ed è ancora più necessario fare molta attenzione a coloro che la manipolano. Ricordando però, come ha ribadito Bidussa in chiusura, che “la memoria è un indizio di come dai ordine al passato, non è il passato”. A concludere il pomeriggio di incontri organizzati dalla redazione, poi, in collaborazione con il Touring Club Italiano, lo storico della letteratura Alberto Cavaglion, autore di “Verso la terra promessa. Scrittori italiani a Gerusalemme da Matilde Serao a Pier Paolo Pasolini”, ha ripercorso, insieme allo studioso Bruno Pischedda e al giornalista del Corriere della Sera Paolo Salom le storie di coloro che hanno visitato e raccontato Gerusalemme, una delle tre città simbolo – ha spiegato – di cui più è stato scritto ma che hanno più hanno creato timore. Un confronto difficile, una marcia di avvicinamento, anche in senso letterale, che mostra come la cultura italiana si sia rapportata a un oggetto vissuto sia nella sua dimensione ideale e quasi onirica che come feticcio, in un difficile equilibro fra aspettative e realtà.
Partecipato anche l’incontro tenutosi alla sinagoga centrale di Milano e dedicato alla presentazione del grande progetto di traduzione del Talmud in italiano (edito da Giuntina), di cui è stato pubblicato il primo volume. A intervenire in apertura l’assessore alla Cultura della Comunità ebraica di Milano Davide Romano e Shulim Vogelmann di Giuntina. Nel corso dell’incontro sono intervenuti i rabbanim Alfonso Arbib, rabbino capo della città, e Roberto Della Rocca, direttore dell’area Cultura e Formazione dell’UCEI: rav Arbib ha svolto una riflessione attorno alla figura del celebre rav Solovetchik a partire dal libro “La solitudine dell’uomo di fede” mentre rav Della Rocca si è soffermato sul ruolo del Talmud nella tradizione ebraica, con la scrittura che diviene mezzo per aprirsi, per discutere, per interpretare nel cui quadro viene tutelata anche l’opinione di minoranza. Clelia Piperno, direttrice del Progetto Talmud, e lo storico Alberto Melloni hanno invece sottolineato l’importanza dell’iniziativa di traduzione, il suo valore scientifico ma anche culturale per tutto il Paese. Massimo Giuliani, docente di Pensiero ebraico, ha poi analizzato l’etica ebraica toccando diversi pensatori della tradizione, come Hillel e Shammai, ma anche facendo riferimento a filosofi moderni come Leibowitz.
David Bidussa dopo essere stato ospite della redazione ha animato, insieme a Igor Loddo un dialogo-spettacolo intitolato “Il fanatismo smascherato (tre secoli fa) e il fanatismo in agguato (oggi)”, qualche ora dopo aver partecipato a un altro dibattito dedicato alla Memoria. Protagonisti del confronto, Wlodek Goldkorn, autore di Il bambino nella neve, volume in cui ha raccontato la sua storia famigliare e il suo rapporto con la memoria, e la testimone della Shoah Liliana Segre. Bruno Segre, autore di Che razza di ebreo sono io ha ripercorso la propria vita in dialogo con Alberto Salibene affrontando anche il tema dell’identità ebraica. Nuovamente al teatro Parenti, si è parlato di Israele e della difficile condizione dello Stato ebraico nell’ambito della realtà mediorientale, per lo più ostile, facendo riferimento al libro di Ugo Volli intitolato “Israele – Diario di un assedio” presentato, oltre che dall’autore, da Alessandro Litta Modignani, Vittorio Robiati Bendaud, Davide Romano, Andrée Ruth Shammah e Andrea Jarach.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(21 novembre 2016)