Disegni biblici e Dante
Eccomi di nuovo, come altre volte negli anni passati, all’epistola di Dante a Cangrande Della Scala in cui spiega che la sua Commedia dovrà essere letta utilizzando i quattro livelli interpretativi che si applicano al testo biblico. È sempre difficile far capire agli allievi che un testo può essere letto contemporaneamente a più livelli senza che uno annulli l’altro. Quest’anno, però, ho avuto un’interessante occasione di allenamento nella discussione avvenuta durante l’inaugurazione dei disegni biblici di Stefano Levi Della Torre attualmente esposti al centro sociale della Comunità di Torino. Una persona tra il pubblico ha osservato che i disegni si attengono strettamente al peshat, alla lettera del testo, senza tener conto del midrash, dell’interpretazione, che talvolta racconta ciò che il testo non dice. Altri hanno osservato che il valore dei disegni sta proprio nella loro immediatezza, che li rende fruibili da chiunque indipendentemente dalla sua conoscenza del Tanakh. Ne è seguito un vivace dibattito, che ha toccato anche, tra le altre cose, la questione delle immagini nell’ebraismo. A mio parere, così come non c’è contraddizione tra la fedeltà al testo letterale e la possibilità di arricchirlo con interpretazioni, allo stesso modo un disegno che illustra un episodio biblico può essere fedele alla lettera del testo e al contempo offrire spunti di riflessione insoliti attraverso la struttura dell’immagine, il punto di vista, il primo piano assegnato a questo o a quel personaggio, i gesti e le espressioni. In questo modo il disegno stesso può diventare una forma di interpretazione, quasi una sorta di midrash.
Certo, per quanto anche la Commedia sia stata illustrata da Stefano Levi Della Torre, Dante non è il Tanakh. Ma il suo invito a leggere il suo poema come se fosse la Bibbia è comunque molto interessante; tutti – allievi e libri di testo – vedono prima di tutto il desiderio di presentarsi come profeta, ma noi lettori ebrei ci leggiamo anche qualcos’altro: l’idea di un testo aperto, che non accolga una sola possibile interpretazione, che inviti a porre domande prima ancora che a trovare risposte. Non so se fosse nelle intenzioni di Dante, ma certo è una sfida appassionante per gli allievi che lo incontrano per la prima volta.
Anna Segre, insegnante
(2 dicembre 2016)