Oltremare – Vendetta
La sera della fine di Yom Kippur a casa mia usa piantare i semi di grano che erano per tutto Kippur sparpagliati sul tavolo bardato a festa, insieme a melograno e pannocchie. Quest’anno il grano è cresciuto talmente folto e forte fin da subito, che per la prima volta da che mi ricordi l’ho trasferito dopo pochi giorni in un vaso vero con terra fresca e l’ho messo in un punto assolato, proprio davanti ai miei occhi sopra al lavandino della cucina. Nei primi giorni, con il caffè del mattino guardavo il grano ogni mattina vari millimetri più alto. Poi i fili d’erba verdi scuri sono diventati così alti da appoggiarsi al muro che inquadra la finestra per sostenersi. Per oltre un mese ho continuato a curare e annaffiare il grano di Kippur, domandandomi quanto ancora avrebbe potuto continuare a crescere. Apparentemente ignaro di due ondate di chamsin.
Finché un giorno alcuni fili hanno cominciato a virare al giallo, e ho pensato ecco, è ora. Dovrei prenderlo con una mano mentre tengo fermo il vaso, metterlo con tutto il suo verde e giallo in un sacchetto di plastica, portarlo giù e buttarlo nella spazzatura mista della casa. Una specie di eutanasia botanica. Ma non ho avuto cuore.
Ho pensato di trapiantarlo giù in quella specie di giardino post atomico che abbiamo sotto la palafitta del mio palazzo: classico giardino telavivese contro ogni realtà, tutto un reticolo di tubi di gomma che annaffiano piante troppo distanti fra loro, adesso che han tagliato la palma che inverdiva il tutto. No, davanti all’ingresso si vedrebbe troppo: un ciuffo alieno per forma e per colore. Forse nel retro, luogo scuro e disabitato, regno di bombole del gas e gatti urlanti. Non ho avuto ancora tempo di trapiantare il grano di Kippur che intanto continua a crescere e a piegarsi e che si merita una terza vita, nella sua innocenza di ciuffo scomposto e anarchico. Mi riservo per un mattino freddo questa piccola vendetta contro gli incendi appena finiti.
Daniela Fubini, Tel Aviv Twitter d_fubini
(5 dicembre 2016)