Periscopio – Sì e no
Mi è difficile esprimere con chiarezza i miei pensieri e le mie sensazioni a seguito della chiusura della battaglia referendaria e dell’esito della consultazione. Un esito evidentemente inequivocabile: chi ha vinto ha stravinto, e la sconfitta di chi ha perso è stata schiacciante, inequivocabile, un’autentica disfatta. Altro che vittoria sul filo del rasoio, al fotofinish, per una manciata di voti! Le dimensioni della vittoria del No sono travolgenti, il Sì è stato distrutto. In democrazia il popolo sovrano ha sempre ragione, chi ha perso – anzi, straperso – deve solo prenderne atto.
Tra gli straperdenti ci sono io, che ho fatto un’accanita e convinta battaglia per il Sì, iscrivendomi a un Comitato, e partecipando a diversi incontri pubblici, nei quali ho sostenuto, con una molteplicità di argomentazioni, le ragioni del Sì, e confutando con forza quelle del No. E alcune persone – poche, in realtà: ma l’esito non avrebbe dovuto essere deciso per una manciata di voti? -, originariamente indecise, o orientate per il No, mi hanno addirittura detto di essere state indotte dalle mie parole a cambiare opinione. Ma ho straperso, e mi assumo tutto il peso della sconfitta. Certo, questa mia personale sconfitta ha un significato del tutto ininfluente, nessun giornale ne parla, e non devo salire su nessun colle a rassegnare dimissioni di sorta, ma mi pare comunque giusto che riconosca il mio fallimento, senza scuse e senza ridimensionamenti. Ho perso, ho straperso e, come si dice, veh victis. Ho sbagliato a combattere una battaglia destinata alla sconfitta? No, anzi, ne sono orgoglioso, e mi pare che le dimensioni del tracollo diano ancora più valore alla mia battaglia perdente, per le seguenti ragioni.
Tra i sostenitori del No ci sono molto sinceri democratici, che hanno profondamente a cuore le sorti della nostra democrazia, e che hanno contestato la riforma per una varietà di ragioni, alcune delle quali ho anche condiviso. Io sono un giurista, e tra i miei colleghi la larga maggioranza ha votato No, ritenendo che la riforma sia stata pensata e scritta in modo discutibile. Tra questi colleghi molti sono miei amici da una vita, persone da cui ho tantissimo da imparare, di limpidissima fede democratica, e sulle cui ragioni ho riflettuto a lungo. Sono stati schierate per il No molte persone che alla difesa della Costituzione hanno dedicato tutta la vita, tra cui, in particolare, il mio amatissimo Maestro Francesco Paolo Casavola, Presidente emerito della Consulta, che ritengo, e non per devozione personale, il più alto punto di riferimento, a livello mondiale, in tema di dignità dell’uomo e diritti umani. Faccio a tutti loro, uno per uno, i miei più sinceri complimenti, senza alcun retropensiero, e la loro presenza nel fronte vittorioso contribuisce a lenire un pochino il pesante peso della mia sconfitta. Non mi permetterei mai e poi mai di criticarli, o di dire che hanno sbagliato. Hanno fatto bene, si sono impegnati in buona fede per la democrazia, il diritto e la civiltà. Mi permetto solo di notare, però, sommessamente, che la loro presenza nel fronte vittorioso, purtroppo, appare, almeno sul piano mediatico, alquanto sfocata e minimale. Non sembra che siano loro ad avere vinto, né, tanto meno, ad avere vinto – come tanto spesso si legge e sente dire – mi sembra che sia stata la Costituzione repubblicana. Una Costituzione che – per chi l’abbia davvero letta – non urla, non fa la faccia feroce, non insulta, non sbraita, non denigra, non umilia, non offende i deboli e le minoranze.
Il vero vincitore, a mio avviso, è qualcuno che ama la Costituzione quanto Erode amava i bambini, e le cui urla contro “lo stupro della Costituzione” che sarebbe stato tentato mi sono sembrate come la criminalizzazione, in nome del vegetarianismo, di chi osa mangiare un po’ di pollo, da parte di chi usa invece nutrirsi solo di carne umana.
È lui, sono loro che hanno vinto. Non solo lui, non solo loro, d’accordo, ma soprattutto lui, soprattutto loro. Ed è bene, secondo me, che tutti ne siano consapevoli, perché la verità è sempre salutare.
Francesco Lucrezi, storico
(7 dicembre 2016)