Il fumo che non nuoce

Valerio FiandraQuando in Italia passò la legge che vietava di fumare al cinema, a Trieste era già proibito da molti anni. Era il 1975, e fu per una direttiva del 1972 della CEE – il nome dell’Europa Comune quando piaceva a tutti. Si dovette aspettare il 2003 per una Legge quadro, ma nel frattempo erano già apparse sui pacchetti di sigarette quelle frasi minacciose che – secondo me – contribuivano più al consumo proibito che alla sua disincetivazione.
Io, nato nel 1954, non fumavo; il rito di passaggio, a quattordici anni, nel campetto di calcio dopo la bisettimanale partita pomeridiana, mi aveva lasciato un tal disgusto che non ‘avevo preso il vizio’. Tanto, – mi consolavo – ne avevo altri, e in fondo in fondo ci si faceva notare di più se non si fumava, allora. Però andavo al cinema, e tanto, in una città che andava nota ed era fiera per il grande numero di sale di prima, seconda, terza e quarta visione. Fine dell’amarcord, scusatemi.
È che tutto questo mi è tornato in mente guardando e leggendo “Smoke”, il bellissimo piccolo libro che Il Saggiatore ha mandato in libreria; scritto da John Berger, illustrato da Selçuk Demirel, è il primo di una serie di ‘regalibri per le feste’ che il vostro esercitante lettore vi consiglierà (quest’anno Channukkà e Natale coincidono) da questo appuntamento fino alla fine del 2016.
Che dirvi? Dovreste andare in libreria a guardarlo. È piccolo, ben rilegato, ben stampato su carta di peso, magnificamente colorata; e le poche, leggere, dense e fumose parole del grandissimo scrittore inglese sono ben tradotte dalla sua amica e traduttrice Maria Nadotti, straordinaria interprete della poetica di Berger: se conoscete già questo autore, non fatevi mancare il numero 32 della rivista Riga, una summa bergeriana meravigliosa, curata come solo Nadotti avrebbe potuto.
Di cosa scrive, dunque? Del fumo, del suo mito, della sua cronaca, della sua demonizzazione. Ricordi, istantanee, raccontini. Credetemi: bastano poche parole, quando sono quelle giuste. E le illustrazioni del turco parigino Selçuk Demirel – acquarelli minimi, pochi segni e molto arrosto – hanno tutta la delicatezza delle memorie e l’incisività del discorso politico. Perché sì, non c’è libro di Berger che non sia anche testimonianza del suo impegno civile: non ho spazio sufficiente per dirvi dei suoi libri sull’arte – e sull’arte del guardare; dei suoi programmi televisivi (qualcosa si trova su youtube); dei suoi romanzi e racconti (il mio preferito resta “G”, romanzo cubista e indimenticabile); dei suoi saggi biografico filosofici (c’è un suo “Taccuino di Bento” – dedicato al mio Principe delle Filosofie, Baruch Spinoza – che mi è sempre vicino); dei suoi disegni di fiori e paesaggi (Berger si esprime nel disegno come nessun testo potrebbe far meglio, su quei temi).
Insomma, avete capito: sono innamorato. In inglese, come sapete, si dice ‘cadere in amore’ (to fall in love). Bene, buttatevi: le parole di fumo di John Berger vi accoglieranno. Fanno bene al cuore e non danneggiano i polmoni.

Valerio Fiandra

(8 dicembre 2016)