melamed, personaggi – Un Nobel straordinario
Cade il 10 dicembre il 30esimo anniversario dal conferimento del Nobel per la Medicina a Rita Levi-Montalcini per le sue ricerche e per la scoperta del fattore di accrescimento della fibra nervosa. La redazione vuole rendere omaggio alla grande scienziata torinese scomparsa quattro anni fa pubblicando la prolusione che la stessa tenne appena pochi giorni dopo, in occasione del dodicesimo Congresso dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. In una stagione di profondi cambiamenti per le istituzioni dell’ebraismo italiano, un intervento destinato a lasciare il segno.
Grazie ancora, Rita!
Storia, pensiero, azione. La via degli ebrei italiani
«Dei semiti che nel corso dei secoli sono approdati sul sacro suolo della nostra Patria, nulla in generale è rimasto». Cosi nel IX paragrafo del manifesto del razzismo italiano, concepito da Mussolini, ma firmato e perciò avallato da 10 «Scienziati italiani», pubblicato il 14 luglio 1938, era definito l’operato di centinaia di migliaia di ebrei che dal terzo secolo avanti Cristo ai tempi anuali, hanno condiviso con centinaia di milioni di individui definiti per decreto govemativo di razza ariana, le buone e le cattive sorti del nostro Paese. Non è mia intenzione confutare la gravità dell’asserzione dei dieci scienziati che si prestarono ad apporre la loro firma al documento razziale. Ricorderò soltanto che questo servì da piattaforma scientifico-ideologica per promulgare leggi che suonarono verdetto di morte per circa settemila cittadini definiti di razza ebraica e furono causa di infinite sofferenze a quelli di loro che miracolosamente sfuggirono a questa sorte.
Desidero invece delineare per grandi linee la storia di questa gente, come ho potuto ricostruirla consultando testi più attendibili di quelli dai quali presumibilmente attinsero informazioni Mussolini e i 10 scienziati firmatari del manifesto. Accennerò inoltre al contributo ebraico al patrimonio culturale italiano, contributo del quale, come affermato nel citato manifesto “nulla in generale è rimasto”. Infine tratteggerò la loro partecipazione dal periodo risorgimentale a quello della prima e della seconda guerra mondiale alla vita del nostro Paese e, come partigiani, alla liberazione dal giogo nazifascista. La leggenda vuole che Abramo figlio di Tare, nativo di Ur, capitale dell’Impero Sumerico, capostipite del popolo d’Israele, abbia concepito in una sorta di illuminazione il monoteismo etico che attribuiva alla Divinità da lui venerata, quelle qualità morali che lui si sforzava di adottare nella sua stessa esistenza. Saldo in questa fede, abbandonò l’ambiente pagano di Harran, e con la moglie e tutta la sua gente si stabilì nella terra di Canaan. A circa 45 chilometri dall’attuale Gerusalemme ebbe la rivelazione che questa era la patria predestinata da Dio a lui e ai suoi discendenti.
L’opera di Abramo volta al servizio del Signore, fu continuata dopo la sua morte dal figlio Isacco, e dopo di lui da Giacobbe che prese il nome di Israele che significa “il campione di Dio”. I suoi 12 figli fondarono le dodici tribù che costituirono il popolo d’Israele, anche noto come il popolo ebraico, termine di incerta etimologia ma secondo alcuni storici indicativo della loro provenienza dall’altra parte dell’Eufrate. Tra il terzo e il secondo secolo avanti Cristo piccoli nuclei di ebrei provenienti dalla Palestina e forse anche dall’Egitto dove già avevano costituito delle colonie, approdarono sul suolo italico, la penisola definita in ebraico I-tal-Ja che significa la terra “della rugiada divina”. Queste unità formarono il primo stanziamento ebraico in Europa e anche quello che, pur andando soggetto a sposta- menti da un capo all’altro della penisola, sarebbe rimasto senza interruzione nel corso dei secoli sino ad oggi. In questo senso questo stanziamento rappresenta un unicum nella storia delle comunità ebraiche europee e in quello della storia italiana, perché, pur vivendo in stretto contatto con altri agglomerati etnici, conservarono intatte molte delle caratteristiche originarie, delle tradizioni e del patrimonio culturale e religioso. Il nucleo più consistente e continuo fu quello che si stabilì a Roma sulle sponde del Tevere, già nel secondo secolo avanti Cristo. Indagini condotte da uno studioso di Storia medioevale, proveniente per via materna come me dai Montalcini, il professor Michele Luzzatti, oggi ordinario di storia medioevale a Sassari, permisero di ricostruire l’albero genealogico di questi nostri comuni antenati.
Derivano dai De Sinagoga della colonia-ebraica romana che verso il Duecento avanti Cristo si stabilì a Roma. Noterò per inciso che non vennero dalla Palestina come profughi o fuggiaschi ma come ospiti ben accetti, dati gli eccellenti rapporti che intercorrevano allora tra Gerusalemme e Roma. Alla fine del 1200 un De Sinagoga si trasferì con la famiglia a Montalcino in Toscana assumendo il cognome De Montalcini. Rimasero in Toscana per due secoli. Nel 1400 uno di loro, un certo Simone figlio del rabbino Guglielmo si spostò a Mantova, allora sotto la signoria dei Gonzaga. Da Mantova nel 1585 i Montalcini si trasferirono a San Damiano d’Asti, che faceva parte del Monferrato appartenente al granducato dei Gonzaga. Nel 1631 il trattato di pace di Cherasco firmato tra i Gonzaga e i Savoia dopo una guerra che finì in favore dei Savoia, il Monferrato, inclusa San Damiano d’Asti fecero parte del Piemonte. I miei antenati Montalcini rimasero senza interruzione dal 1585 all’inizio del 1900 a San Damiano alternando la loro dimora tra questa cittadina dove gestivano una banca, ed Asti. Ad Asti nel 1879 nasceva mia madre. La famiglia di mio padre, Adamo Levi proveniente dal Monferrato si era già stabilita a Torino all’inizio del secolo. Dal loro matrimonio nel 1901 nacque nel 1902 mio fratello Gino, noto architetto, collaboratore, unito da viva amicizia con il famoso architetto Giuseppe Pagano. Gino esercitò la professione e allo stesso tempo fu professore di architettura prima a Palermo poi a Padova e a Torino. Delle mie due sorelle, la maggiore Anna risiede a Torino con la sua famiglia; la mia gemella Paola con la quale convivo è nota pittrice e scultrice. Sia i Levi che gli altri antenati materni Segre, e i paterni Debenedetti sono di origine sefardita, provenienti cioé dalla Spagna e dalla Francia meridionale dalla fine del quindicesinio secolo o inizio del sedicesimo. Ho menzionato la storia della mia famiglia e della sua origine che è pressoché identica a quella della maggioranza dei miei amici di comune estrazione appartenenti alla comunità piemontese o provenienti da altre comunità ebraiche italiane. Come è noto ed ampiamente documentato nell’eccellente volume di Attilio Milano “Storia degli ebrei in Italia” nessuna delle comunità italiane ebbe a soffrire dei flagelli che si abbattevano periodicamente con la violenza di cicloni sulle comunità ebraiche in altri Paesi europei e in particolare in Russia e in Polonia, noti come pogroms. Le comunità ebraiche italiane soffrirono tuttavia dal periodo rinascimentale al 1700 di gravi restrizioni particolarmente nello Stato pontificio sotto il papato di Paolo IV, di Pio V e di Clemente VIII che si accanirono contro i membri della comunità ebraica romana, promulgando nel 1555, 1569 e 1593 le “Bolle infami”. Malgrado che a questi papi succedettero altri più temperati, queste bolle non furono abrogate e rimasero per due secoli in vigore influendo pesantemente sulla politica adottata rispetto agli ebrei in Stati confinanti retti da granduchi e principi ansiosi di far cosa grata al papato. Accennerò molto brevemente alle condizioni di queste comunità in altre regioni italiane. Splendidi centri di cultura ebraica fiorirono nel Medio Evo in Sicilia e nel Sud della Penisola. Furono totalmente distrutti quando nel 1492 caddero sotto il dominio spagnolo. Nell’Italia centrale le sorti delle comunità dipesero dalla benevolenza o malevolenza dei vari granduchi e mutarono con il succedersi di questi o ragioni politiche più che religiose suggerivano un differente comportamento nei riguardi di queste piccole comunità assoggettate al loro volere. Si distinse tuttavia sempre il granducato dei Medici di Toscana molto più illuminati degli altri granduchi. Livorno costituì una specie di oasi dove gli ebrei per due secoli vissero in un clima che permise loro di sviluppare attività culturali, convivendo in ottima armonia con la comunità cattolica. Nel Nord a Venezia e nelle comunità di terraferma le relazioni fra dogato veneziano ed ebrei furono di natura economico-commerciale e in complesso buone malgrado che la comunità ebraica soffrisse anche nel Veneto di molte delle restrizioni imposte negli altri ducati, prima tra tutte l’obbligo di residenza nel ghetto. Accennerò infine alla situazione in Piemonte, dove da secoli la comunità era più numerosa che nelle altre regioni italiane, fatta eccezione di Roma. La costituzione decretata da Amedeo VIII di Savoia nel 1430, e riconfermata senza essenziali modifiche nel 1723 e 1729 consentiva un certo benessere che derivava essenzialmente dai proventi delle filande della seta. Questo benessere era però concesso a prezzo – scrive Attilio Milano – di moleste mortificazioni, quali la vita nei ghetti. In generale – dice sempre il Milano – la politica di Savoia si esplicò nel senso di largheggiare di favori verso gli ebrei ricchi e di mantenersi rigida verso i meno abbienti. Infine dopo secoli di avvilimento arrivò nell’ultimo decennio del Settecento nell’Italia del Nord e in seguito nelle altre regioni della penisola il vento della liberazione che soffiò dalla Francia spazzando via le ignobili leggi, editti, bolle infami che avevano martoriato la vita di decine di migliaia di individui colpevoli di voler mantenere fede alle tradizioni morali e cuturali dei loro antenati. Questo memorabile evento che fece seguito alla promulgazione da parte dell’Assemblea Nazionale francese della “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” che includeva l’equiparazione giuridica degli ebrei creò uno stato di ebrezza tra gli ebrei italiani che tuttavia doveva essere di breve durata. Si trattò infatti inizialmente di una elargizione di diritti di uguaglianza offerta sulla punta delle baionette francesi e si mantenne soltanto sino a quando queste rimasero in Italia a imporla. La sorte di questa elargizione importata dalla Francia – scrive il Milano – fu assai differente da quella che sarebbe stata data agli ebrei, pochissimi decenni più tardi e avrebbe avuto a propria salvaguardia la coscienza e la volontà genuina di larghi strati della popolazione italiana. In seguito alle disfatte francesi, Vittorio Emanuele I, con editto del 1814 restaurava in blocco la costituzione del 1770 e decretava che fossero nuovamente drizzati i portoni del ghetto e fosse vietato agli ebrei di esercitare qualunque professione liberale. Dopo questi periodi convulsi dei primi decenni del secolo nei quali si avvicendarono momenti di esaltazione e speranza e altri di disperazione arrivò finalmente l’affrancamento finale salutato dagli ebrei con immenso entusiasmo. Un gran numero di loro si affiliò alla Carboneria e in seguito alla Giovane Italia lottando fianco a fianco con altri patrioti per liberare l’Italia dagli stranieri.
Tra quanti si distinsero come seguaci e stretti collaboratori di Mazzini vi fu un certo David Levi che lo seguì nelle varie città italiane a tener viva la speranza negli animi. Dopo la tragica morte dei fratelli Bandiera, Levi scrisse la lirica che divenne l’inno di battaglia dei patrioti. Tra gli ardenti ammiratori e seguaci di Mazzini, ricorderò Sarina Levi Nathan da Pesaro; nella sua casa convennero oltre a Mazzini, Garibaldi e altri famosi esponenti della Nuova Italia. Nella dimora della figlia, Giannetta Nathan in Rosselli, spirò a Pisa nel 1872 Mazzini. Un altro figlio della Levi-Nathan, Ernesto, in continuo contatto con Mazzini, fu sindaco di Roma dal 1907 al 1913. Epigoni tragici di questa vibrante famiglia furono i due fratelli Carlo e Nello Rosselli, fondatore il primo, del famoso movimento “Giustizia e libertà” che raccolse attorno a sé intellettuali e combattenti affiliati al Partito d’Azione. Carlo e Nello, che ebbi il privilegio di incontrare a Parigi, furono assassinati da sicari dell’associazione dell’estrema destra francese Cagoule a Bagnole-de-I’Ome in Normandia, dove Carlo si era recato con il fratello per una convalescenza a seguito delle ferite sofferte combattendo in Spagna contro il regime franchista. Risultò che i sicari agirono su mandato di Ciano e di Mussolini. Sotto la pressione di alti esponenti politici intellettuali, primo tra tutti il marchese Roberto d’Azeglio, che scrisse una petizione a Carlo Alberto firmata da 600 eminenti personalità tra le quali figuravano Camillo Cavour e Cesare Balbo per ottenere l’affrancamento degli ebrei e dei valdesi residenti nel regno, il 19 giugno 1848, dopo molte perplessità, Carlo Alberto appose la firma alla legge approvata dal Parlamento che dichiarava che “la differenza di culto non forma eccezione al godimento dei diritti civili e politici e all’ammissibilità alle cariche civili e militari”. Gli ebrei della comunità piemontese manifestarono il loro entusiasmo con luminari, inni, medaglia d’oro a Roberto d’Azeglio ed arruolandosi in gran numero nell’esercito piemontese in procinto di avanzare verso la Lombardia e gli altri Stati sotto il dominio austriaco. La parità giuridica concessa agli ebrei del Piemonte venne estesa a quelli residenti nelle altre regioni settentrionale, centrale e del sud che diventarono parte del Regno d’Italia sotto lo scettro di Vittorio Emanuele II l’11 marzo 1861. Il 4 agosto 1866 anche la comunità veneta fu affrancata con l’aggregazione del Veneto al Regno Italico e il 13 ottobre 1870 gli ebrei romani nella città annessa al Regno d’Italia godettero finalmente degli stessi diritti degli altri cittadini italiani.
Rita Levi-Montalcini
(9 dicembre 2016)