Periscopio – Israele oggi
Grande successo ha avuto – forse ancora più delle edizioni precedenti – l’annuale Congresso, svoltosi a Roma gli scorsi 26 e 27 novembre, della Federazione delle Associazioni Italia-Israele, nel quale, alla presenza di un pubblico particolarmente numeroso, attento e partecipe, sono state affrontate una molteplicità di questioni relative alla difficile situazione del presente – i venti di guerra, le tensioni internazionali, la crescita dell’antisemitismo e dell’antisionismo, il montare dei vari populismi in Europa e in America ecc. -, non solo sul piano della descrizione e dell’analisi, ma anche alla ricerca delle migliori strategie di difesa e reazione, sul piano politico, diplomatico, mediatico, contro ogni violenza e a difesa della pace, del dialogo, dei diritti. E c’è da fare i più sinceri complimenti e ringraziamenti agli organizzatori – a cominciare dal Consiglio Direttivo della Federazione, con gli infaticabili Presidente e Vice-Presidente, Maurizio Borra e Giuseppe Crimaldi -, nonché a tutti i relatori che si sono alternati al microfono – a cominciare dal nuovo Ambasciatore di Israele, il giovane e brillante Ofer Sachs, che ha subito conquistato tutti non solo con la sua bravura e competenza, ma anche con la sua simpatia e disponibilità umana. È davvero così consolante ritrovarsi tra vecchi e nuovi amici, tutti insieme a difendere degli ideali comuni, senza cedere al pessimismo.
Nell’impossibilità di dare conto dei numerosi spunti emersi dal dibattito, vorrei limitami a fare una semplice osservazione a margine dell’interessante relazione svolta dal Professore Yossi Shain, docente di Scienze Politiche alle Università di Tel Aviv e di Georgetown, che ha parlato de “La nuova posizione di Israele nello scenario internazionale”. Pur nella consapevolezza dei molteplici pericoli incombenti, il tono complessivo del discorso di Shain è stato improntato a un sostanziale ottimismo, basato essenzialmente sull’intrinseca forza di Israele – sul piano politico, economico, tecnologico – e sul suo rappresentare, nella turbolenta situazione dello scacchiere mediorientale, l’unico elemento di stabilità, un dato che porta a un rafforzamento dei suoi rapporti politici e commerciali con molte importanti potenze mondiali – quali l’India e la Cina -, e anche, al di là dei proclami propagandistici, con diversi Paesi arabi – quali l’Arabia Saudita e il Qatar -, che guardano a Israele come a un indispensabile argine contro le minacce dell’estremismo sciita e sunnita (sollevate principalmente, ma non esclusivamente, dall’Iran e dall’Isis). Ragioni pragmatiche e di interesse, e non di generica amicizia, fanno sì che Israele appaia un solido punto di riferimento, un interlocutore affidabile e un importante partner. Le parole di Shain appaiono in sintonia col discorso pronunciato, lo scorso 22 settembre, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dal Premier israeliano Netanyahu, il quale ha sottolineato il miglioramento in atto dei rapporti tra lo Stato ebraico e molte nazioni del mondo, invitando i rappresentanti degli altri Paesi a unirsi a questo cambiamento, abbandonando le stupide e pregiudiziali posizioni di chiusura e ostilità.
Se è vero, però – e questa è la mia osservazione -, che diversi Paesi, nel proprio esclusivo interesse, si rendono conto che rivolgersi a Israele può portare consistenti vantaggi, sul piano economico e politico, questo mutamento di clima non pare minimamente riflettersi sulle posizioni espresse dall’Assemblea delle Nazioni Unite – l’organismo che dovrebbe rappresentare la sintesi degli umori del pianeta -, che continua, imperterrita, a emanare, a raffica, una dopo l’altra – in quella che Pierluigi Battista, con felice espressione, ha definito “intifada diplomatica” -, le sue demenziali e ottuse risoluzioni di condanna – l’ultima, lo scorso 1° dicembre, contro la semplice presenza israeliana a Gerusalemme, votata anche dall’Italia -, continuamente proposte dal compatto gruppo dei Paesi arabi e passivamente approvate (con alcune astensioni a qualche raro voto contrario) dalla vile Assemblea. Ma allora, verrebbe da chiedersi, gli amici di Israele sono amici o sono nemici? Come mai gli amici sono tali solo se presi individualmente, ma, messi insieme, diventano automaticamente nemici? La risposta a questa domanda è insieme complessa e semplice, e si collega direttamente alla peculiarità della condizione ebraica nella comunità delle genti. Una condizione che vede sempre tristemente attuale la famosa massima latina “senatores boni viri, senatus mala bestia”.
Francesco Lucrezi
(14 dicembre 2016)