In ascolto – Over the Rainbow
Nessun posto è bello come casa mia, ripete ancora e ancora Dorothy tornando dal suo meraviglioso viaggio che l’ha portata a conoscere il mago di Oz, in compagnia del fedele cagnolino Totò e di tre personaggi bizzarri: uno spaventapasseri, un taglialegna di latta e un leone fifone.
È il 1900 e Lyman Frank Baum, scrittore e giornalista già noto al pubblico grazie alla sua raccolta delle filastrocche di Mamma Oca, scrive Il Mago di Oz, racconto fantastico destinato a diventare best seller. Nel 1902 è lo stesso Baum a collaborare alla trasposizione in musical e in soli nove anni i palcoscenici di Broadway ospitano 293 repliche. Nel 1939 quella favola per bambini trasformata in spettacolo per pubblico adulto arriva sul grande schermo; sono gli anni d’oro di Hollywood e il regista incaricato di seguire il fantastico viaggio di Dorothy è Victor Fleming che, a quanto si dice, di giorno gira Il Mago di Oz e di notte monta il colossal Via col Vento.
Da lunedì scorso quella pellicola senza tempo è tornata nelle sale grazie al restauro digitale realizzato dalla Warner Bros e da lunedì scorso io continuo a canticchiare Somewhere over the Rainbow. Ho iniziato non appena uscita dal cinema, perché ci sono canzoni che funzionano così, se ti entrano in testa non se ne vanno più per giorni. E dire che Somewhere over the Rainbow non è certo un tormentone né una melodia semplice, anzi ha un’estensione discreta e intervalli talvolta poco prevedibili a parte la ripetizione nel refrain, che sembra sottolineare il carattere ostinato della protagonista.
“Somewhere over the rainbow / Skies are blue / And the dreams that you dare to dream / Really do come true”, canta la giovane Judy Garland seduta nella campagna seppiata del Kansas, che nel racconto di Baum era definita “shades of gray”, in contrapposizione al mondo in Technicolor in cui lei indossa scarpine rosse e luccicanti dai poteri magici.
Su questa canzone, che i discografici americani hanno definito la migliore del XX secolo, è stato scritto molto e non manca chi ha analizzato “il vero significato” del testo. Molti concordano sul fatto che vi sono chiari riferimenti alla storia ebraica e anche se alcune teorie sembrano un po’ tirate per i capelli, una cosa è certa: i due autori erano ebrei. Il paroliere, Yip Harburg era nato Isidore Hochberg ed era figlio di ebrei immigrati in America dalla Russia; in casa si parlava yiddish e si osservavano con rigore le regole della halacha. Il compositore, Harold Arlen, era nato Hyman Arluck, i genitori erano immigrati dalla Lituania e papà era un chazan. Il background mi pare chiaro, così come è chiara la loro comune storia di immigrazione, in cui si intrecciavano le memorie dei pogrom in est Europa e la sensazione che qualcosa di brutto stava per succedere.
Il film viene realizzato tra ottobre 1938 e marzo 1939, i mesi in cui l’Europa vive l’Accordo di Monaco, la distruzione del Kristallnacht e l’invasione della Cecoslovacchia, preludio allo scoppio della guerra.
Non so se è il caso di parlare di significati nascosti o di messaggi da decifrare in Somewhere over the Rainbow; i due autori forse, hanno semplicemente fatto il loro lavoro e lo hanno fatto bene, perché ci hanno messo una parte di sé e della propria storia, tant’è che noi abbiamo la sensazione che Dorothy non canti solo per se stessa in un mondo fantastico ma che si rivolga anche a persone reali che di lì a poco verranno strappate ai loro affetti e alla loro vita.
Maria Teresa Milano
Consiglio d’ascolto:
(15 dicembre 2016)