“Europa, lottiamo contro l’odio”
“Non penso troppo a quello che accadrà nelle prossime settimane sul mio conto. Continuo a testa bassa con il mio lavoro di ogni giorno, nel tentativo di portare all’attenzione dell’opinione pubblica e di promuovere le battaglie in cui credo. Come quella della lotta a ogni forma di odio, a ogni rigurgito di intolleranza che possa minacciare la collettività europea. A partire dall’antisemitismo, in tutte le sue manifestazioni. Più o meno palesi. È questo uno dei temi che ho più a cuore”.
Così l’onorevole Antonio Tajani, candidato alla presidenza del Parlamento europeo dell’area popolare, in una grande intervista che appare sul numero di dicembre del mensile UCEI Pagine Ebraiche.
Sfida tutta italiana per la guida dell’Europarlamento. Il principale avversario di Tajani è infatti Gianni Pittella, candidato per l’Alleanza Progressista dei Socialisti e dei Democratici. Dopo 35 anni, l’Italia potrebbe tornare ad avere un ruolo di leadership continentale.
“Vorrei andare in giro nelle scuole, nelle fabbriche, avere un rapporto diretto con i giovani. Vorrei una nuova generazione europeista che lanci e interpreti il disegno europeo, attraverso i giovani si deve ricostruire il sogno europeo. È anche molto importante puntare sull’educazione civica nelle scuole, riscoprire il valore delle battaglie sui diritti” ha dichiarato Pittella in una recente intervista.
Onorevole Tajani, lei ha organizzato in settembre un convegno internazionale che ha richiamato a Bruxelles alcune tra le voci più autorevoli dell’Europa ebraica. Perché era così importante porre attenzione su questi temi?
Perché oggi più che mai l’Europa ha la necessità, anzi meglio dire l’urgenza, di ritrovarsi unita nei valori che l’hanno ispirata e che hanno portato alla sua attuale strutturazione e organizzazione. Siamo nati per difendere in ogni sede la libertà, la solidarietà, i diritti e la dignità dell’uomo. E dobbiamo difenderli oltre i confini del proprio paese di provenienza, in una prospettiva di reale e fattiva collaborazione. Purtroppo, non sempre questo accade nelle nostre istituzioni. Un fatto già grave di per sé, amplificato in questo dai nuovi terribili segnali che continuamente ci arrivano. L’estremismo islamico che colpisce insieme gli ebrei e i valori fondamentali d’Europa, ricordandoci l’indissolubile legame che vi è tra la storia di questo continente e i destini di plurimillenaria identità. Ma anche l’avanzata di nuove forze populiste e razziste, in particolare ad Est. Contro questi pericoli, due facce della stessa medaglia, servono politiche forti, incisive e soprattutto coordinate.
Perché è così difficile lavorare su piattaforme condivise?
Perché, come spesso accade, dalla teoria non è così automatico passare alla pratica. Teoricamente, tutti siamo più o meno d’accordo sull’irrinunciabilità di questi valori di base. La pratica però è un altro paio di maniche. E la lacuna in questo caso è nell’inerzia, nella pericolosissima inerzia che colpisce alcuni governanti e chi avrebbe il dovere di fare qualcosa davanti a queste manifestazioni di odio. Aggressioni, violenze, attentati: i primi a pagare un caro prezzo al terrorismo islamico sono stati gli ebrei d’Europa, ma tanti in principio non hanno voluto vedere. Molti ad esempio hanno voltato lo sguardo dall’altra parte dopo i tragici fatti di Tolosa, Bruxelles e Copenaghen, tanto per fare qualche nome. C’è stato chi si è sforzato in tutti i modi di non capire quale fosse la vera matrice dell’attentato all’Hypercasher di Parigi, scelto non certo per un caso dal jihadista che vi ha portato morte e sangue. La mia convinzione è che oggi più che mai abbiamo bisogno di creare occasioni di confronto e dialogo tra le religioni, ma al tempo stesso di rafforzare la nostra capacità di repressione e depotenziamento di ogni minaccia.
L’UE potrà quindi avere un ruolo di primo piano?
Se vorremo agire in modo incisivo, su questo e su altri temi, servirà innanzitutto chiarezza. In particolare sulla grande sfida dell’integrazione. Ritengo infatti urgente una più netta distinzione tra chi ha effettivamente bisogno del nostro aiuto perché in fuga da persecuzioni e atrocità, e chi invece tenta illegalmente di penetrare nel nostro continente. C’è bisogno di un maggior controllo e di una migliore strategia, soprattutto in Italia. La situazione è esplosiva, e lo sarà sempre di più. E prevedo notevoli incognite in arrivo dall’Africa Nera, cui servirebbe un vero e proprio Piano Marshall per affrontare le numerose difficoltà che quotidianamente la investono. In primis la destabilizzante minaccia portata dagli integralisti di Boko Haram alla società nel suo insieme. Nel giro di 10-15 anni al massimo, senza politiche efficaci di contenimento, rischiamo di essere travolti. Con molte ricadute che possiamo facilmente immaginare.
La preoccupa l’elezione di Trump?
Non più di tanto. Chiaro che quando vendo attivisti del Ku Klux Klan festeggiare per la sua elezione un po’ mi spavento. È un mondo che mi fa orrore e che è distante anni luce da qualsivoglia forma di politica attiva accettabile. Detto ciò, sono dell’idea che alcune posizioni un po’ estreme emerse nel corso della campagna elettorale saranno frenate dalla solida struttura democratica statunitense. La mia convinzione è che il presidente Trump sarà molto diverso dal candidato Trump. Sono comunque curioso di conoscerlo di persona, perché non c’è mai stata occasione finora.
Teme invece per gli scenari che potrebbero aprirsi in Francia con una vittoria di Marine Le Pen alle presidenziali del prossimo anno?
Non amo l’ipernazionalismo che predica, decisamente distante dai valori in cui credo e per cui ho scelto di impegnarmi in politica. Penso comunque che sia molto diversa dal padre, da cui si è più volte smarcata nel recente passato. In ogni caso, sarei più contento se non fosse lei a vincere.
Adam Smulevich twitter @asmulevichmoked
(15 dicembre 2016)