Cesare Jarach, vita e destino
di un grande italiano

schermata-2016-12-21-alle-12-49-16Non pare possibile, nel 2016, calarsi nei panni di chi, trovandosi nel mezzo del cammino della sua vita un secolo fa, scelse di interromperlo per amor patrio. La distanza irriducibile che ci separa da quei giorni ed esclude ogni immedesimazione è forse appena sufficiente a consentirci – oggi, nel momento in cui malintesi conflitti economici e nazionalismi tornano a minacciare la pace in Europa – uno sguardo veramente storico su quella catastrofe generazionale che fu il ‘15 – ‘18. Il 3 novembre di cento anni fa si spegneva dopo lunga agonia il giovane Cesare Jarach, aspirante ufficiale della 58° divisione di fanteria, reggimento 201. Nato a Casale Monferrato nel 1884, Jarach apparteneva a quella generazione di ebrei piemontesi ormai giuridicamente “emancipati” per i quali si trattava di render concrete le conquiste storiche del ‘48, di lottare per un riconoscimento sociale reale e di allontanare da sé millenari sospetti e il persistente stigma della “doppia fedeltà”, per cui: “italiani, sì, ma in verità, nel loro intimo, fedeli al popolo d’Israele, al suo Dio e alle sue leggi”. Jarach era un promettente economista politico, allievo fra i prediletti del professor Luigi Einaudi e suo collaboratore scientifico. Il futuro Presidente della Repubblica lo descrisse in un lungo necrologio come quel tipo di “funzionario colto, studioso, animato da devozione alla cosa pubblica” di cui aveva gran necessità la classe dirigente italiana.
Nella sua breve vita Jarach affiancò a un’attività scientifica di alto valore una fulminante carriera nelle istituzioni governative e dello Stato. Saggista, ricercatore e teorico dell’economia e della finanza, esperto di problematiche dell’emigrazione, fu nominato a ventitré anni delegato tecnico della commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni di vita contadine nel Mezzogiorno. Nell’ambito di quell’incarico condusse un’ampia e articolata ricerca sugli Abruzzi – il capolavoro della sua non vastissima produzione – che per profondità di analisi, intelligenza metodologica e precisione concettuale risulta un lavoro pionieristico e tuttora un riferimento indispensabile per lo studio della società abruzzese e in generale per la storia migratoria dell’Italia meridionale (l’indagine è stata ripubblicata nel
2009, a cento anni dalla sua redazione, dall’editore abruzzese Textius). La sua attività – quella scientifica, poi quella amministrativa e infine quella militare, durata solo pochi giorni – fu costantemente animata dagli ideali liberali e patriottici della tradizione risorgimentale assimilati fin da piccolo nel Piemonte di Cavour. Nel momento decisivo del conflitto Jarach si schierò nel fronte interventista. “Un fronte assai variegato!” – precisa lo storico Alberto Cavaglion, autore di importanti studi sulla partecipazione degli ebrei italiani alla prima guerra mondiale. “Jarach e il suo circolo, riconducibile alla giornale L’azione, erano interpreti di un nazionalismo democratico di matrice mazziniano-risorgimentale, del tutto estraneo alle posizioni irredentiste e pre-fasciste”. Uomo d’onore ottocentesco, di fronte al patrio dovere non esitò a lasciare la sua promettente carriera di economista e funzionario pubblico, i tre figli piccoli e la moglie Lydia, la disperata opposizione della quale non valse a farlo desistere dal proposito suicida di partire volontario per il fronte. Sfortunato emblema di un’esistenza drammaticamente scissa fra la sfera privata e quella pubblica, egli si decise per la seconda e non per la prima: l’ebreo per la società borghese e non per la sua religione, l’italiano per l’indipendenza dell’Italia e non per la sua famiglia. Nel destino tortuoso di Cesare Jarach si apprezza il rovescio della medaglia e la conseguenza più drastica dei processi di emancipazione del XIX secolo, in cui la nuova “libertà” degli ebrei presenta il conto da pagare: “E come serenamente aveva vissuto per il dovere, così per il dovere più sacro andò sereno alla morte” – scrive di lui il Giornale degli economisti e Rivista di statistica nel gennaio 1917, a due mesi dalla sua morte.
Ma l’ironia della storia non è sempre logica né lineare. Il progetto risorgimentale, gli ideali per cui Jarach morì già nel 1916, e con essi le speranze degli ebrei emancipati, finirono poi per infrangersi irrimediabilmente contro l’esito imperialista e fascista del nazionalismo italiano. Chi sopravvisse alla guerra e al fascismo fu Lydia Segre Jarach, e con lei i suoi tre figli, Bruno Dino e Marcella, i quali costituirono in seguito numerose famiglie che sono tuttora attive nelle istituzioni ebraiche in Europa e in America latina. Suo nipote Elio Toaff, che aveva un anno quando morì lo zio Cesare e mai lo conobbe, ha retto per tutta la seconda metà del ventesimo secolo la cattedra di rabbino capo a Roma.
Nel centenario della sua morte i familiari di Cesare Jarach curano l’edizione di una raccolta di saggi e lettere in suo ricordo, che vuole offrire a chi si interessa della storia ebraica italiana alcuni frammenti di una biografia emblematica e dimenticata.

Manuel Disegni, Pagine Ebraiche Dicembre 2016