Periscopio – Incontri e feste

lucreziÈ da molto tempo che tra il Natale cristiano e la Chanukkah ebraica – che, com’è noto, cadono nello stesso periodo dell’anno – è in corso un apparente processo, sul piano esteriore, di avvicinamento e assimilazione, nel senso di sovrapposizione, intreccio e scambio di spirito e di significato. In molte famiglie di ebrei assimilati, nella Germania degli anni ’20 e ’30, alla vigilia della catastrofe, si era radicata l’abitudine di scambiarsi visite di cortesia con gli amici cristiani, invitandoli a casa propria a partecipare all’accensione delle candele e andando poi da loro per festeggiare insieme la nascita di Gesù, e lo stesso accadeva anche in Italia, in Austria, in Francia; anche tra gli ebrei si è affermata l’usanza, in occasione della Festa delle luci, di scambiarsi doni, soprattutto a beneficio dei bambini; negli Stati Uniti l’accensione delle candele della chanukkia è molto diffusa anche tra le famiglie cristiane, come è diffusa l’abitudine di porre vicino alle finestre di casa, in quei giorni, tanto il candelabro a otto braccia quanto l’albero di Natale illuminato, per irradiare all’esterno un medesimo segnale di letizia e serenità; in molte città europee si è consolidato il rito di accendere le candele in luoghi pubblici, alla presenza della cittadinanza, che assiste con piacere e interesse alla cerimonia, vista spesso come una simpatica ed esotica anticipazione del Natale, e in diverse piazze d’Italia si possono vedere eretti, negli stessi giorni, grandi candelabri e grandi alberi natalizi, in un comune spirito di festa e comunanza.
Tale assimilazione è destinata, quest’anno, ad apparire particolarmente evidente, dal momento che l’accensione della prima candela avverrà proprio il 24 dicembre, e gli auguri di “buon Natale” – più o meno sentiti e sinceri – si stanno già intrecciando, molto spesso, con quelli di “Chanukkah sameach”. Se ci si interroga, però, al di là delle luci e degli auguri, sull’effettiva vicinanza o lontananza, ai nostri giorni, tra ebraismo e cristianesimo, il discorso si fa più complesso. Ho sempre pensato che, se il dialogo ebraico-cristiano – come, d’altronde, ogni tipo di dialogo -, di per sé, è una cosa apprezzabile e positiva, esso non dovrebbe essere finalizzato – come, invece, spesso avviene – alla valorizzazione e alla sottolineatura delle analogie e somiglianze tra le due tradizioni, anziché delle particolarità e delle differenze. Ritengo sbagliata l’idea che, per essere amici, bisogna essere simili, che la diversità sia fonte di inimicizia, o che la costruzione dell’amicizia coincida con la riduzione o l’eliminazione delle differenze. Penso, anzi, pur senza volere generalizzare, che spesso sia vero esattamente il contrario. E penso che, per tutti coloro che, il prossimo 24 dicembre, vorranno ricordare che, quella sera, cadono non una, ma due festività religiose, un buon modo per farlo sia soffermarsi almeno un poco a considerare quale sia lo specifico significato di entrambe. Un significato che è certamente diverso, come, altrettanto certamente, può riguardare, in entrambi i casi, tutti gli uomini, indipendentemente dalla loro appartenenza o non appartenenza religiosa.
Personalmente, da non cristiano e non ebreo, il più profondo e confortante messaggio del Natale è quello che ricavo dalla famosa novella “Christmas Carrol”, di Charles Dickens, che lascia sperare – forse illusoriamente: ma, almeno una volta l’anno, che sia concesso – che ogni cuore umano, anche quello apparentemente più freddo e indurito, possa, finché è vivo, sciogliersi e riscaldarsi. Quanto alla Chanukkah, una cosa che, di essa, mi ha sempre affascinato è l’idea che il miracolo delle luci non avvenga ‘gratis’, ma solo a seguito di una durissima lotta, quale quella combattuta dai fratelli Maccabei a difesa della libertà. Se quella battaglia non fosse stata combattuta e vinta, oggi non ci sarebbe dato di riflettere sul significato di quegli otto lumi, così come non li vedremmo brillare se la lotta dei Maccabei non fosse stata proseguita, nei secoli, da tante generazioni di coraggiosi e silenziosi combattenti, che hanno fatto arrivare fino a noi un messaggio universale di coraggio, resistenza e fedeltà.

Francesco Lucrezi, storico

(21 dicembre 2016)