Vernacolo
Non avendo purtroppo il dono dell’ubiquità, che in diversi casi comoderebbe alquanto (come contemporaneamente allattare un bambino, misurare la temperatura ad un altro, fornire il fazzoletto ad un terzo, rassicurare il quarto che desiderava dormire invece di essere svegliato nel cuore della notte, e magari, perché no, avere l’ambizione di dormire io stessa?) alcuni giorni or sono ho avuto il piacere di prendere parte alla cena annuale dell’ordine dei commercialisti, rinunciando però ad una serata poetica dedicata ai vernacolari novecenteschi pistoiesi.
Non ho potuto così ascoltare letture dai versi di Enrico Bruni, Sebastiano Frosini e Virgilio Gozzoli, le cui parole su Pistoia avrebbero potuto costituire una valida alternativa ebraica allo svolgimento del tema scolastico dal sapore natalizio “Le decorazioni della mia città in questi giorni di festa. Immagini, suoni, colori” – del resto, non ci risparmiamo neppure problemi di matematica del tipo: “per decorare le finestre della scuola sono stati utilizzati 250 angioletti…”, oppure “per la festa dei saluti natalizi, le mamme hanno portato 2 vassoi di affettati…”, ma anche “per gli addobbi natalizi il comune compra 210 metri di fili luminosi…”.
Consoliamoci pensando che Ardengo Soffici, il quale pur pistoiese non era, tralasciava le illuminazioni natalizie della città scrivendo di altri colori ne La giostra dei sensi, perché “A Pistoia si mangia nebbia e oro.[…] Perché quando c’è il sereno ed il sole par di vivere in un diamante incastonato”, mentre Gabriele D’Annunzio espresse nel 1904 in Elettra l’amore per questa tra Le città del silenzio III (“T’amo, città di crucci, aspra Pistoia”).
Alla capitale italiana della cultura per il 2017 Piero Bigongiari, pistoiese d’adozione, dedicò poco oltre la metà del secolo scorso la raccolta Le mura di Pistoia, in cui cantò, tra i luoghi mitici della memoria, l’intreccio dei binari alla stazione.
Altro però sono i poeti vernacolari scelti per serata a tema cui non ho potuto assistere, lasciandone fuori diversi tra cui mi piace ricordare Remo Cerini, caduto in disgrazia perché dedito al vino, spesso arrestato dai fascisti con il pretesto di ubriachezza molesta, mentre in realtà il regime non ne gradiva le acute rime di scherno del potere. Lo ricorda un altro poeta antifascista pistoiese, Enrico Bruni, nel suo sonetto Sant’Atto e ‘l Cerini come “bravo poeta, sempre n’daffarato”.
Sonetti ne scrisse anche Frisino alias Sebastiano Frosini (si veda la raccolta E’ ‘l destinaccio ‘nfame del 1930), cantore della città popolare ed umile, come pure l’anarchico Virgilio Gozzoli, appartenente al futurismo di sinistra al pari della concittadina Leda Rafanelli, altra esponente di spicco dell’anarchismo italiano come, ancora, il pistoiese Silvano Fedi.
Vir, alias Virgilio Gozzoli, firmò tra gli altri l’adattamento italiano di Arroja la bomba, canzone spagnola di denuncia delle torture sofferte dagli anarchici sotto la dittatura di Primo de Rivera. Pittore, giornalista, tipografo ed editore, dovette riparare in Francia per sfuggire alle persecuzioni fasciste, e da Parigi prese parte alla resistenza antifrancista dal 1936.
Gozzoli viste poi a Barcellona insieme a Camillo Berneri e Francesco Barbieri, scrivendo per «Guerra di Classe» diretto dallo stesso Berneri, e dopo l’assassinio dei due amici per mano di agenti inviati da Stalin fece ritorno in Francia, da dove riparò poco dopo nei più sicuri Stati Uniti.
Meno male che non fece in tempo a vedere il fallimento di quella prima rivoluzione anarchica che fu la guerra di Spagna l’anarchico, amico di famiglia, Errico Malatesta, il quale aveva salutato con gioia la rivoluzione anti zarista del 1917 – iniziata con l’appoggio degli anarchici, prima che i bolscevichi prendessero il sopravvento.
La bisnonna, anarchica anch’ella, aveva girato per anni tra le cascine lomelline leggendo libri a puntate ai contadini ed insegnando loro le canzoni di Pietro Gori – di generazione in generazione, fino a me neonata, cullata alle parole di Addio Lugano bella. Insieme al marito, la bisnonna avrebbe poi stampato clandestinamente in casa manifesti sulla guerra di Spagna, per sensibilizzare la popolazione alla causa repubblicana.
Peccato che le lettere spedite alla bisnonna da Malatesta siano andate perdute, dopo essere state seppellite in giardino insieme alle pentole pregiate affinché i fascisti non li trovassero, e più tardi ai cartelli stradali affinché i soldati tedeschi smarrissero la strada.
Sara Valentina Di Palma
(22 dicembre 2016)