La Ville Lumiere non è buia
La sera del 13 novembre 2015 tre gruppi terroristici affiliati all’Isis hanno ucciso 130 persone fra i frequentatori di bar e locali degli “arrondissements” 10 e 11 parigini e spettatori di un concerto al Bataclan.
Purtroppo non sono stati gli unici atti terroristici del 2015. Va ricordato il terrore creato da un criminale solitario a Copenhagen durante un convegno sulla “libertà di espressione” sfociato poi con l’assassinio di un ebreo nei pressi di una sinagoga. In terra francese, nel mese di gennaio sono state molte le vittime legate agli assalti contro il giornale satirico Charlie Hebdo e in un supermercato kasher, poi ad un paio di poliziotti ed infine a tre militari accoltellati a Nizza. Sono anche state attaccate alcune chiese di Villejuif, mentre ha inorridito la decapitazione di un datore di lavoro da parte di un trentacinquenne di origini marocchine che si è anche fotografato con la testa mozzata ed inviato il selfie in Siria. Sono per fortuna stati sventati un attentato sul treno Amsterdam-Parigi ed uno alla Regina d’Inghilterra. Non vanno poi dimenticati gli attacchi contro il museo nazionale del Bardo ed uno contro il complesso turistico di Port El-Kantaoui di Susa, in Tunisia. Non è stato un anno tranquillo neanche in Turchia con 34 morti per un attentato compiuto a metà luglio 2015 a Suruc, poi con 103 uccisi e più di 500 feriti per due kamikaze davanti alla stazione centrale di Ankara. Nel 2016 invece, gli atti terroristici più di rilievo sono stati quelli all’aeroporto ed in una stazione della metropolitana di Bruxelles con 31 morti, poi il camion che ha investito i passanti sul lungomare di Nizza, uccidendone 74. E’ stata colpita anche Tel Aviv, a gennaio con la sparatoria in un pub del centro, poi nel mese di giungo con quattro persone uccise nel mercato coperto di Sarona. A metà luglio è il turno della Germania dove prima un giovane afgano accoltella i passeggeri di un treno, poi un diciottenne spara all’impazzata in un centro commerciale uccidendo nove ragazzi. Il 24 luglio un rifugiato siriano tenta di farsi esplodere ad un concerto cui assistevano 2500 persone. Il 26 luglio infine in una piccola chiesa in Normandia, due assalitori sgozzano il sacerdote ottantacinquenne.
Ad un anno dall’inizio dello stato di emergenza nel paese transalpino, il mondo civile si è ritrovato sui luoghi dei massacri.
Il Bataclan ha riaperto in via eccezionale nella serata del 12 novembre, con un concerto di Sting. Nel locale che trae il suo nome dall’operetta Ba-ta-clan di Jacques Offenbach, il cantautore britannico mancava dal 1979. “Fu proprio a Parigi – ha ricordato l’allora leader dei Police – che nel 1978 scrissi Roxanne”. L’evento presso la sala originariamente da café-concert ha avuto il sold out in pochi minuti di prevendita e l’incasso è stato devoluto a due associazioni legate alle vittime dell’attentato. Sting ha interpretato i suoi grandi successi ed alcuni brani tratti dal nuovo CD in uscita proprio in questi giorni.
Nella mattinata di domenica 13, lo Stato francese ha ricordato quanto accaduto con delle cerimonie senza discorsi per non marcare la scena politicamente, in vista delle prossime elezioni. Il Presidente François Hollande ed il sindaco di Parigi Anne Hidalgo hanno visitato uno ad uno i luoghi colpiti dagli estremisti islamici, scoprendo nei pressi di ognuno delle lapidi commemorative e deponendo dei fiori.
La prima cerimonia si è svolta a Saint-Denis, dove un’esplosione presso un cancello dello Stade de France ha causato una vittima. Ricorda il figlio dell’ucciso: “stavo a casa a guardare la televisione e sento lo speaker annunciare che fuori dallo stadio stava accadendo qualcosa. Poi spiega di cosa si è trattato aggiungendo che vi era stata una vittima. Ho pensato: poveraccio. Uno va a vedere una bella partita e muore per un attentato di matrice estremistica religiosa …”.
Il corteo presidenziale si è poi diretto verso i quartieri messi a dura prova. Da Le Carillon a Le Petit Cambodge, poi dinnanzi al bistrot A’ la Bonne Bière, alla Belle Equipe, al Comptoir Voltaire, al Teatro Bataclan.
Attorno al teatro si sono riuniti giornalisti, turisti, parigini, persone di ogni età, colore, nazionalità. La massiccia presenza delle forze dell’ordine ha creato una zona cuscinetto attorno al Bataclan. Solo le alte personalità, i famigliari delle vittime ed i presenti la sera dell’attentato hanno potuto assistere alla cerimonia di posa di due lapidi. La prima è stata collocata sul muro del locale e vi si legge “Alla memoria delle vittime assassinate e ferite in questo luogo il 13 novembre 2015”. La seconda reca i 93 nomi delle vittime ed è posta solo per questa giornata commemorativa all’accesso della sala teatrale. Verrà successivamente collocata in un giardinetto di fronte allo stesso.
Le persone in attesa si guardano, quasi si squadrano, perché nonostante l’alto numero di poliziotti armati di tutto punto non vi sono stati posti di blocco, perquisizioni, richieste di fornire le proprie generalità. Ognuno avrebbe potuto nascondere qualcosa di terribile, di offensivo, per voler siglare anche a distanza di un anno, il potere della barbarie. Ma così non è stato, per fortuna. Segno che i servizi di sicurezza, finalmente, stanno funzionando.
Quando si aprono i varchi per avvicinarsi al Bataclan, ai piedi della lapide recante i nomi delle vittime iniziano ad ammonticchiarsi i fiori: decine poi centinaia. Un uomo sui 35 anni si fa un selfie di cui ancora non si riesce a capirne il motivo, lo scopo, l’emozione.
Lentamente la folla si incammina verso Place de la République, dove si attende il clou della giornata, come a seguito di quella notte del 2015. Sono previsti degli interventi autogestiti di musicisti o di persone che intendono comunque testimoniare la propria vicinanza con i parigini. Al centro di questa grande piazza che il barone Hausmann ampliò in un rettangolo di 280 metri per 120, è collocato un sontuoso monumento alla Repubblica, alto 9 metri e mezzo e posto su di un piedistallo di pietra alto 15 metri. Su quest’ultimo sono sedute alcune figure allegoriche di Libertà, Uguaglianza e Fraternità. In poche ore la base si riempie di fiori, testimonianze scritte, bandiere e quant’altro per indicarne la forza, nonostante gli efferati delitti commessi.
Parigi rappresenta quell’Eurabia citata dalla Fallaci. Quella parte del vecchio continente abitato dai discendenti dei vecchi galli e da tutti i figli della globalizzazione. Quella terra alla mercé di tre anime arabe, di cui la prima è composta da uomini che sfilano per i Campi Elisi attorniati dalle loro mogli, ossia quella che ha studiato marketing o economia nelle università inglesi o americane per riuscire ad imporre il proprio ego. Si tratta di quella che non compra più i prodotti di un paese ma acquista direttamente la fabbrica o addirittura il paese stesso. Colpa però dei paesi in vendita, per non dire alla loro mercé.
Due altre anime sono quelle arabe nordafricane. Alcuni sono riusciti ad integrarsi nel sistema francese e negli arrondissements 10 e 11 se ne notano molti. Per questo motivo sono state scorte delle fattezze arabe in un attimo di riflessione attorno al monumento di Place de la République. Altri infine rappresentano quella terza anima composta da figure non integrate completamente, nonostante la profonda essenza di un paese laico fino al midollo. Non è semplice ed etica trasmissione di cultura familiare di generazione in generazione, ma il volersi rinchiudere in un ghetto mentale sotto il protettorato di figure contorte, con abnormi letture di presunti testi sacri, dove religione e sangue sono intrinseci. Ci si rinchiude tutti quanti scambiandosi idee, malaffare ed armi per esplodere contro il sistema che circonda. Come un animale che morde la propria coda. Un animale che reputa raccapricciante una propria evoluzione nello stato delle cose e che intende solo distinguersi per l’abbattimento di ogni forma di progresso, di cultura e di futuro.
Nel pomeriggio del 13, organizzato dall’associazione “Toujours Paris” (sempre Parigi), in un tratto del Canal Saint-Martin – canale che collega la Senna con il canale dell’Ourcq nei quartieri orientali di Parigi – centinaia di lanterne blu, bianche e rosse sono state accese e collocate in un apposito recipiente di carta dove ognuno ha potuto scrivere un messaggio. Le lanterne sono poi state fatte fluttuare sulle acque del canale. Da una parte si è data vivacità alla luce della Ville Lumière, dall’altra si è simboleggiata la locuzione latina utilizzata dal 1358, rivalutata dopo gli attentati ed affissa in questi giorni lungo tutta la città: Fluctuat nec mergitur.
Alan David Baumann
(Pagine Ebraiche dicembre 2016)