21 gennaio
A coloro che ritengono Israele isolato politicamente come non mai, andrebbero chieste due cose: la prima perché le posizioni di un presidente degli Stati Uniti uscente e bocciato clamorosamente dagli elettori americani, debbano essere più rilevanti di quelle di un presidente eletto che invece sostiene lo Stato d’Israele insieme alla maggioranza dei membri del Congresso e del Senato. Poi, se e quando terminerà la ricerca spasmodica di essere accettati dal resto del mondo. È lo stesso principio dell’assimilazione, di chi riteneva che bisognasse rifiutare parte della propria identità per essere cittadini migliori. Oggi per essere buoni cittadini del mondo serve attaccare Israele e lorsignori non si sottraggono. Dovrebbero capire che la bontà di un’idea e di un principio non dipende dal grado di consenso che ricevi da parte di chi ti odia. Grazie alla perseveranza della politica israeliana, di destra e di sinistra, certe posizioni considerate inaccettabili qualche tempo fa, oggi sono state comprese dall’opinione pubblica che le condivide. Al contrario di quanto sostengono in molti, la situazione diplomatica israeliana è migliore delle precedenti. Ottimi rapporti con paesi a maggioranza islamica e collaborazioni regionali impensabili fino all’altro ieri. Il problema è uno e si chiama Barak Obama. Un fallimento assoluto incapace di gestire le primavere arabe, d’intervenire in Siria per prevenire un genocidio e che spinge per un accordo con l’Iran nucleare, ma dimentica l’unica democrazia del Medio Oriente. Il 20 gennaio è vicino. Per fortuna.
Daniel Funaro
(29 dicembre 2016)