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Caro diario, oggi il Segretario di stato uscente John Kerry ha voluto pronunciare un discorso molto netto di condanna della politica di Israele in materia di insediamenti. Ha voluto dedicare più di un’ora all’argomento, assumendo come proprie le posizioni di un movimento politico ebraico americano che si chiama J-Street, per il quale ho molta simpatia. Però, caro diario, a me quel discorso pronunciato da un Segretario di stato è sembrato sbagliato, anche se onesto. Mi sarei aspettato un bilancio complessivo sulla politica mediorientale dell’Amministrazione Obama, che contestualizzasse il conflitto israelo-palestinese e descrivesse le strategie messe in atto dall’Amministrazione uscente. E riconoscesse soprattutto gli errori, perché una cosa è certa: se fosse tutto realistico il nocciolo del discorso che ha pronunciato Kerry, oggi dovremmo vivere una situazione avviata finalmente alla pacificazione. Mi sarei aspettato, in realtà, una premessa diversa: “Cosa non ha funzionato”? “Perché, nonostante i nostri sforzi in direzione della soluzione due popoli due stati, si è arrivati a uno stallo totale del percorso di pace”? “Dove abbiamo sbagliato”? Ecco, questa avrebbe dovuto essere la premessa da cui secondo me doveva partire il segretario di stato di un’amministrazione americana le cui politiche in Medioriente non hanno prodotto i risultati sperati e che forse anche per questo non è riuscita a far eleggere la sua prima segretaria di stato a nuovo presidente degli USA. Ricordo il discorso di Obama al Cairo quando le “primavere arabe” erano agli inizi. Un’apertura importante, un’occasione offerta alle popolazioni arabe oppresse da oligarchi e capi religiosi che chiedevano finalmente di dare concretezza a un’idea reale di democrazia e di libertà civili. Ma da allora l’unica grande potenza occidentale (ché l’Europa, ahimè, è da tempo ininfluente) non è riuscita a governare questa trasformazione e ha lasciato che il fondamentalismo islamista si impossessasse delle energie positive di quell’inizio di rivoluzione. Un errore strategico senza precedenti, caro diario, che con ogni evidenza ha avuto le sue conseguenze anche sul conflitto in Israele e nei territori palestinesi. E così, per evitare di mettere i famosi boots on the ground, l’amministrazione di Obama ha continuato ad occhieggiare con benevolenza a vecchi e nuovi satrapi, non ha dato risposte concrete, ha permesso la frammentazione dei conflitti e – soprattutto – non ha ostacolato in alcun modo il bagno di sangue in Siria. Per questo, caro diario, il discorso di Kerry mi è sembrato insufficiente e poco degno del capo della più grande macchina diplomatica mondiale. Perché se è vero che la politica degli insediamenti complica il percorso verso una chiusura definitiva del conflitto e soprattutto indebolisce la prospettiva di un’Israele ebraica e democratica, è anche vero che l’amministrazione Obama ha fatto poco per la crescita di una leadership politica palestinese presentabile e credibile. E questo, fra le altre cose, Kerry non l’ha detto.

Gadi Luzzatto Voghera, storico

(30 dicembre 2016)