Levi papers – Tatuaggio
Il foglio dattiloscritto che vedete nell’immagine appartiene a una delle più importanti aggiunte dell’edizione del 1958 di Se questo è un uomo. Si inserisce a pagina 26 di quella pubblicata presso De Silva nel 1947, nel capitolo intitolato Sul fondo. Viene subito dopo il brano dove Levi introduce la parola tedesca Häftling e dove fornisce il numero del suo tatuaggio sul braccio sinistro. Nei tre o quattro anni successivi alla pubblicazione del libro presso il piccolo editore torinese gli deve essere venuto in mente che doveva dire qualcosa di più su quella operazione. Il pezzo aggiunto inizia proprio così: “L’operazione è stata lievemente dolorosa, e straordinariamente rapida”. Segue la descrizione di quanto è accaduto. Il tempo verbale che usa è il passato prossimo; tutto il brano seguente oscilla tra questo tempo e il presente. L’aggiunta è consistente, perché si tratta di almeno tre o quattro pagine (dipende dalla edizione considerata). L’aggiunta sul tatuaggio serve anche per certificare in modo testimoniale il numero dei deportati entrati nel Lager di Monowitz e per descrivere le varie nazionalità. Le informazioni che Levi aggiunge nel 1958 sono probabilmente frutto di successive letture, oppure sono dati raccolti attraverso la corrispondenza con altri prigionieri al ritorno dal Lager. Nell’aggiunta Levi usa l’espressione “distruzione dell’ebraismo d’Europa”, senza dubbio frutto di letture successive. Da notare che in nessuna delle opere testimoniali lo scrittore torinese usa il termine Shoah, che probabilmente non ignora, dato che è in uso negli anni Quaranta del XX secolo; l’espressione che utilizza ha un marcato valore storico e ricorda quella del libro di Raul Hilberg (La distruzione degli ebrei d’Europa), che però è del 1961 per l’edizione originale. Dopo lo stacco di una riga bianca, Levi ha aggiunto una delle scene memorabili di Se questo è un uomo, quella del “– Hier ist kein warum – (qui non c’è perché)”. Segue una citazione da Dante, da Inferno, canto XXI, 48: “… Qui non ha luogo il santo Volto,/ qui si nuota altrimenti che nel Serchio!”. Poi il ricordo della fanfara che suona Rosamunda, ricordo restituito al presente: “Una fanfara comincia a suonare, accanto alla porta del campo…”. Quindi c’è l’incontro con un ragazzo, Schlome, fabbro di professione, in Lager da tre anni, altro punto notevole del libro con il suo breve ma efficace dialogo in tedesco. Qui Levi accenna alla madre ebrea. Interessante quest’aggiunta dell’inizio degli anni Cinquanta, se si pensa che il nuovo inizio della pubblicazione Einaudi pone in primo piano invece la breve esperienza di partigiano di Primo, non la deportazione razziale. Curiosa anche l’osservazione psicologica con cui si conclude questo lungo inserimento: “… mi sento pieno di tristezza serena che è quasi gioia”. Primo ricorda di non aver più visto Schlome, ma di non aver dimenticato “il suo volto grave e mite di fanciullo”. Torna di nuovo l’immagine del volto: Santo Volto e quello del giovane ebreo polacco. Schlome l’ha accolto “sulla casa dei morti”, riferimento non troppo nascosto al testo di Dostoevskij, ma anche al libro di memorie di Luciana Nissim, deportata con lui ad Auschwitz: Ricordo della casa dei morti del 1946. Un’inclusione nella nuova edizione che è un gesto di amicizia e insieme di memoria.
Marco Bepoliti, scrittore
(1 gennaio 2017)