Oltremare – L’ultima band
Se il primo dell’anno deve segnare il tono dell’anno nuovo, meglio evitare tutti i giornali, che parlano dell’ennesimo atto di terrorismo, dopo il quale nessuno si sogna neanche più di scrivere “Je suis Istanbul”. Siamo già stati Charlie, Parigi, Tel Aviv proprio un anno fa, Nizza, Berlino e molte altre città, e non è servito a un granché. Meglio allora una fuga al cinema, meglio ancora per vedere una commedia, che come sempre nel cinema israeliano parla in realtà di cose serissime. “L’ultima band in Libano” in altre epoche sarebbe diventato un piccolo cult. Se la gente vedesse ancora i film al cinema o almeno in disordinati gruppi di amici in mezzo a popcorn fatti in casa e non ciascuno per sé e Netflix per tutti, io ci scommetto che un paio di generazioni entro poco saprebbero a memoria sequenze intere di questo film, come sa ancora recitare tutta “Givat Halfon” e “Mifza Safta”.
C’è qualcosa di particolarmente intrigante nei film israeliani che parlano di esercito senza parlare di guerra. I personaggi dell’Ultima Band sono tutti macchiette iper-definite, un po’ come in “Zero Motivation”, che ha vinto premi e girato il mondo; ma gli manca il lato drammatico e quindi non ha molte probabilità di girare il mondo. Tre musicisti si svegliano in una base militare in Libano nell’estate 2000, l’estate del ritiro, e scoprono che durante la notte dopo il loro concerto la base è stata smantellata, i soldati sono partiti, e loro sono stati abbandonati. Cominciano a vagare come una mini armata Brancaleone nelle campagne accaldate del sul del Libano, incontrano villaggi di libanesi ufficialmente nemici, zigzagano fra Hezbollah e moazzin che non avrebbero dovuto cantare, finiscono prigionieri, fuggono insieme e separati, litigano come i polli di Renzo appesi a testa in giù, e cantano tute le canzoni che una band di Zahal deve cantare. Inutile dire che finisce bene anzi benissimo, perfino le ragazze, che sono come sempre personaggi laterali quando si tratta di divise verdi, fanno il loro per salvare il trio, e per una volta non fanno soltanto il caffè ai comandanti. Un buon inizio di anno insomma.
Daniela Fubini, Tel Aviv
(2 gennaio 2017)