Dossier: Golem, robot, infine cyborg. Genesi di un mito
Károly Kerényi, filologo e storico delle religioni ungherese, definiva mitologema il nucleo originario di un mito, di cui i singoli racconti tradizionali non sono altro che sviluppi, o varianti. L’elemento minimo riconoscibile di un complesso di materiale mitico, che viene poi continuamente rivisitato, plasmato e riorganizzato, pur rimanendo di fatto la stessa storia, lo stesso racconto primordiale. Immergersi al centro della modernità, a caccia delle origini profonde delle sfide tecnologiche che impregnano il presente e la vita contemporanea può portare allo studio della leggenda ebraica del Golem come nucleo originario di una serie di interrogativi di fondo che si fanno principio stesso della ricerca. Le sue tracce mitografiche puntano verso un passato che va ricostruito, e che porta inevitabilmente con sé la necessità di un ripensamento profondo.
Con la tecnologia è arrivata una invasione di oggetti e manufatti di vario genere, così come una trasformazione radicale della visione e della rappresentazione: linguaggi artificiali, sistemi cibernetici e ibridazioni tra esseri umani e computer portano verso la creazione del cyborg, essere umano potenziato grazie all’impianto nel suo organismo di componenti meccaniche ed elettroniche, senza alcun intervento sul suo dna.
Si tratta però, come spiega Barbara Henry in Dal Golem ai Cyborgs. Trasmigrazioni nell’immaginario, edito da Belfiore, dell’incarnazione di un mito della scienza che non ha visto la luce nei nostri giorni, bensì di una idea che va studiata a partire da una narrazione collettiva che appartiene al passato, e il cui mitologema diventa criterio etico-politico di comparazione con le creature artificiali e ibride del nostro presente e del futuro prossimo. Non è casuale poi che negli stessi anni in cui Paul Wegener al cinema, H. Leivick in teatro e Gustav Meyrink sulla carta stampata riportavano in auge la vicenda del Golem il ceco Karel Čapek scrivesse R.U.R. (Rossum’s Universal Robots). Nella sua opera, pubblicata in Italia da Marsilio, compare per la prima volta il termine robot, derivato dalla parola ceca “robota”, lavoro.
Della storia e delle evoluzioni del mito del Golem scrive invece Moshe Idel (Einaudi), che affronta il tema, presente nella letteratura cabbalistica, a partire dalle sue fonti nel Talmud e nel Midrash e fino ai giorni nostri, così come Gershom Sholem, che suggerì di chiamare “Golem aleph” il primo computer israeliano.
Va ricordata la sua centralità in tanta fantascienza, in cui è il prototipo dell’essere umano artificiale, e in fin dei conti dello strumento più complesso di tutti: una creatura che ci assomiglia e che, almeno apparentemente, si comporta come noi.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
dal dossier Golem, Pagine Ebraiche, gennaio 2017
(4 gennaio 2017)