Dossier Golem – Dalla mistica al mito, fra horror, tecnica e magia
Il Golem, l’uomo artificiale, è uno dei grandi simboli dei desideri e dei timori umani che, affondando le sue radici ancora nei tempi biblici, continua a ossessionare il pensiero occidentale. Delle varie significazioni di cui il pupazzo di argilla, almeno a partire dalla metà dell’Ottocento, si fa carico, si parla altrove in queste pagine. Qui vale la pena sottolineare come, a cavallo fra tradizione e modernità, esso contribuisca a sollevare una questione importante e dalle infinite ramificazioni anche filosofiche, ovvero la rappresentazione dell’essere umano. Come ci insegna Gershom Scholem in La Kabbalah e il suo simbolismo questo tema “per l’ebraismo ha sempre avuto un interesse assai vivo, anche se polemico, data la sua avversione per il culto delle immagini. In alcune tradizioni ebraiche le immagini rituali appaiono effettivamente come una specie di Golem animati”. Forse anche su questa base tradizionale si è andato sviluppando un notevole interesse di artisti figurativi, anzitutto ebrei, per le rappresentazioni del Golem (che in fondo è uomo solo in parte, e potrebbe addirittura evadere dai limiti imposti dal divieto biblico di non ritrarre esseri umani). Inoltre, come ricorda fra gli altri I.B. Singer (che considera la leggenda del Golem “la vera essenza” del folklore ebraico), il Golem è anche emblema del rapporto fra l’artista e la sua opera: qualcosa di indeterminato, che non risponde a regole scientifiche, che può sfuggir di mano al suo creatore e vivere di vita propria. Non è dunque un caso che due fra le maggiori istituzioni museali ebraiche abbiano deciso, nel corso di diversi anni, di dedicare proprio al Golem delle grandi mostre monografiche. La prima, “Golem! Danger, Deliverance and Art”, curata da Emily D. Bilski, era stata presentata nel 1988 dal Jewish Museum di New York; la seconda è la mostra attuale, intitolata semplicemente “Golem!”, in corso fino al 29 gennaio allo Jüdisches Museum di Berlino.
Se doveste dunque capitare in questi giorni nella capitale tedesca, se volete vedere i capolavori dell’arte di ogni tempo rivolgetevi piuttosto ai Rembrandt o ai Tintoretto della Gemälde Galerie; ma se vi interessano l’arte contemporanea e la cultura ebraica non perdete l’occasione di visitare la mostra curata dalla già nominata Bilski e da Martina Lüdicke e fortemente voluta dal nuovo direttore, Peter Schafer, definito “un vero fan” della leggenda golemica. Troverete qui opere di alcuni dei massimi rappresentanti dell’arte contemporanea, come Anselm Kiefer o Christian Boltansky, ma anche, e forse anzitutto, una narrazione per immagini e parole pedagogica, ma al contempo appassionante e mai banale, sulle varie forme, trasmutazioni e significati dell’ebraico robot. Troveremo dunque, fra moltissime altre opere, filmati ed oggetti, l’installazione dadadista-surrealista dei russo-statunitensi Gerlovina, Bergash e Gerlovin dove frammenti di corpo umano maschile e femminile sono caratterizzati da lettere dell’alfabeto ebraico, che formano parole diverse a seconda del senso in cui vengono lette; gli appunti del discorso pronunciato da Gershom Scholem a Rehovot nel 1964 per l’inaugurazione del primo grande computer israeliano, Golem I; un documentario di Amos Gitai del 1990 sulla creazione di un Golem donna, interpretato dalla cantante Annie Lennox. Il percorso non è cronologico ma diviso in sette capitoli tematici: Il Golem vive; La mistica ebraica; Trasmutazioni; Il mito di Praga; Horror e magia; Fuori controllo; Il Doppio; Epilogo. Nella penultima stanza troviamo, fra l’altro, gli straordinari autoritratti golemici di Joachim Seinfeld, riprodotti anche nei manifesti e sui biglietti della mostra, nonché nella gigantografia che apre il percorso.
Proprio con Seinfeld, artista berlinese, laureato all’Accademia di Belle Arti di Firenze, abbiamo avuto un breve incontro.
Vuoi raccontarci come è nato il tuo interesse per il Golem?
Da ragazzo, come tutti, ho letto Meyrink. Il passo ulteriore ha a che fare con l’Italia: nel 1999 Simona Bordone, della ora non più esistente galleria Bordone di Milano, aveva organizzato una mostra mia e di Cioni Carpi (il figlio terzogenito di Aldo Carpi, l’autore del Diario di Gusen, considerato fra i massimi artisti concettuali italiani). Cioni aveva già realizzato molte importanti opere intermediali negli anni Settanta, alcune sue opere erano anche state esposte al MoMa di New York; per la mostra di Milano aveva scritto un testo per me fondamentale, intitolato Fra noi e loro, incentrato sulla questione dell’utopia. E per me il Golem è appunto questo, il tentativo di realizzare l’utopia. È un essere creato per la realizzazione del bene, che però finisce per sottrarsi a ogni controllo.
Nel frattempo ho letto anche Chaim Bloch – un discendente del Baal Shem Tov, il rabbino Bloch nella sua raccolta di leggende sul
Golem, pubblicata nel 1925, che è stato il primo a introdurre in testi di carattere folclorico l’elemento della sua natura violenta e distruttiva – Annette von Droste-Hülshoff e altri. Mi è diventato sempre più chiaro come la leggenda ebraica
fosse alla base di alcune delle più potenti narrazioni occidentali: dall’homunculus di Paracelso a Frankenstein di Mary Shelley. Nelle mie opere qui esposte voglio mostrare la fatica, la paura e la sofferenza di un essere che non è completamente vivo, che non sarà mai completamente morto.
Quelle che tu esponi sono fotografe di un tipo speciale.
Ho lasciato la pittura da diversi anni, ma dopo un periodo completamente astratto ho voluto reintrodurre nei miei lavori la figura umana. Lavoro moltissimo con l’emulsione fotografica; i miei lavori sono a metà fra la fotografia e la pittura, photo-peintures, come le ha definite un critico inglese. Mi occupo anche di docu-fiction, in particolare nella raccolta “Wenn die Deutsche lustig sind”, Quando i tedeschi si divertono, dove ho “ridisegnato” tutto il XX secolo inserendo in fotografie famose ed emblematiche dei personaggi dissonanti, impersonati da me stesso, che ne amplificano, rendendolo grottesco, il significato.
Di cosa ti stai occupando ora?
Ho un impegno di due anni con la Kreuzberg Initiative gegen Antisemitismus per la realizzazione di un’opera sulla diversità della vita ebraica a Berlino, che verrà inaugurata il prossimo anno presso il Parlamento di
questa città.
Del progetto fa parte un programma pedagogico che verrà attuato in tutte le scuole di Berlino; si tratta di interviste filmate, testi, foto, organizzate su uno schema ispirato alle pagine del Talmud, in tre lingue: tedesco, inglese e arabo. Parteciperò anche a una grande mostra che si terrà in tre chiese sconsacrate in occasione dei 500 anni della Riforma luterana. Sto preparando un’enorme emulsione fotografica, su carta speciale, con i visi di appartenenti a tutte le religioni presenti a Berlino. Ho già raccolto quasi tutti i volti adatti, che verranno scomposti e ricomposti in decine di immagini frammentate. L’unico a mancarmi ancora è un ebreo ortodosso!
Laura Quercioli Mincer, Università di Genova, Pagine Ebraiche Gennaio 2017
(8 gennaio 2017)