Ci vuole coraggio
Ci vuole coraggio. Sumaya Abdel Qader, consigliera comunale PD a Milano ed esponente della comunità musulmana, che conobbi anni fa come una persona ragionevole, ha fatto recentemente delle affermazioni inaccettabili in televisione. Come si può sostenere che il 60% dei musulmani residenti in Italia – risultati “antisemiti” secondo un’indagine di pochi giorni fa – non abbiano compreso il quesito perché non conoscono l’italiano? Oppure, il che è concettualmente ancora più pericoloso, perché sarebbero antisionisti e non antisemiti?
Ci vuole coraggio, da parte dei musulmani italiani. Riconoscere il problema è indispensabile per cominciare a risolverlo: isolare gli elementi estremisti nella comunità, innanzitutto, quelli noti e quelli che si stanno radicalizzando; e poi promuovere – come già avviene in alcuni casi – iniziative serie per diffondere la coscienza civica e la conoscenza della cultura italiana; rifuggire le scorciatoie e gli alibi: come mai la provincia di Ravenna, dove si trova la seconda moschea più grande del paese, è anche quella da cui è partito il numero più alto di foreign fighter italiani? Quale base socio-culturale ha fatto proliferare nel nostro paese 110 combattenti partiti alla volta di Daesh?
Ci vuole coraggio, però, da parte di tutti, al di là delle attività fondamentali di prevenzione e repressione. Combattere il radicalismo islamico e il terrorismo impone di essere propositivi, di pronunciare dei sì e non solo dei no. Sono costituiti dei tavoli di confronto presso le istituzioni con i rappresentanti delle varie (litigiose) comunità musulmane, e questo è certamente uno strumento utile da rafforzare. Ma occorre affrontare il problema dell’accesso al culto, per evitare che si preghi nei garage e nulla sia controllabile di ciò che viene predicato. Inoltre, va combattuta una retorica pubblica che tende a fare di tutti i musulmani, o addirittura di tutti gli immigrati, dei potenziali terroristi: così si fa un favore ai reclutatori dell’odio, che aspettano proprio la condanna indiscriminata per mietere consensi. E bisogna procedere un passo dopo l’altro, negoziando in modo serrato nel tentativo di tenere sempre aperto un canale di confronto.
Infine, ci vuole coraggio a essere creativi, anche nell’epoca dell’emergenza terroristica: mesi fa proposi su queste colonne di mutuare, dall’esperienza francese, il progetto di una Fondazione dell’Islam italiano, retta da personalità autorevoli non musulmane, per veicolare e controllare finanziamenti e progetti. Può essere un’idea come tante. Ma da qualche parte bisogna pur iniziare a essere coraggiosi.
Tobia Zevi, Associazione Hans Jonas twitter @tobiazevi
(10 gennaio 2017)