SOCIETA’ Google e il negazionismo: una battaglia a colpi di click e algoritmi

Schermata 2017-01-12 alle 12.28.55Fake news, notizie false, bufale. Il 2016 sembra essere l’anno in cui se n’è compresa portata e pericoli: capaci di influenzare processi politici, avvelenare i legami sociali, istigare alla violenza fisica. Sul banco degli imputati nelle ultime settimane è salito in particolar modo Facebook, data la capacità del social network fondato da Mark Zuckerberg di favorire la diffusione tra gli utenti di qualunque tipo di link, senza alcun controllo sull’effettivo contenuto.
L’occasione però potrebbe essere anche quella di occuparsi di quella che è forse la più pervasiva e pericolosa falsa notizia di tutti i tempi, e cioè la negazione della Shoah. E tuttavia, mentre Google, il colosso dei motori di ricerca, avrebbe promesso di agire in questo senso lavorando sui propri algoritmi, un museo ebraico negli Stati Uniti denuncia scenari potenzialmente ancora più inquietanti: indirizzare un utente che fa ricerche sul tema della Shoah al proprio sito tramite la pubblicità del sistema Google AdWords, costa ben due dollari a click.
Andando con ordine, nelle ultime settimane molti hanno segnalato come non solo la stringa di ricerca made in Mountain View proponga già dopo aver digitato le prime lettere la domanda “did the Holocaust happen?” (“la Shoah è avvenuta?” – provare per credere, basta arrivare alla fine della parola ‘the’ per vederla tra i suggerimenti), ma che i primi siti della lista dei risultati siano aberranti pagine negazioniste. Così Google si è impegnato a correre ai ripari:
“I risultati delle nostre ricerche sono un riflesso del contenuto del web. Questo significa che talvolta rappresentazioni spiacevoli di argomenti sensibili possono influenzarli. Essi non riflettono ciò che Google pensa o crede – come società, noi diamo grande valore a diversità di prospettive, idee e culture” ha dichiarato un portavoce. “Gli utenti ricercano una varietà enorme di argomenti – circa il 15 per cento di tutte le ricerche che troviamo ogni giorno sono nuove. Per questa ragione le parole che appaiono nell’auto-completamento (delle domande) possono essere inaspettate o spiacevoli. Facciamo del nostro meglio per evitare termini offensivi, riconducibili alla pornografia o all’odio, ma riconosciamo che l’auto-completamento non è una scienza esatta e siamo sempre al lavoro per migliorare i nostri algoritmi”.
Negli stessi giorni, un articolo del Guardian, citando il lavoro del William Breman Jewish Heritage Museum di Atlanta, ha raccontato però anche un altro aspetto, più oscuro e materialistico, che riguarda il problema delle ricerche su Google e del negazionismo, quello economico, ipotizzando che il motore di ricerca guadagni sulla popolarità dei siti antisemiti e negazionisti. Già perché indirizzare un utente che fa ricerche sul tema della Shoah alla propria pagina tramite la pubblicità del sistema Google AdWords, costa all’istituto due dollari a click. Una cifra altissima, per chi ha familiarità con il funzionamento del sistema.
“Non possiamo permetterci di fare troppa pubblicità perché è molto costosa. E lo è, perché è molto popolare. È così che funziona: si paga di più per pubblicizzare le scarpe Nike di quelle di un altro brand. Questo è lo stesso. È un tema caldo, e quello che mi disturba è che un sito negazionista è lì in cima ai risultati. È nauseante, assolutamente nauseante” ha sottolineato il direttore comunicazione del Museo, David Schendowich.
Se il museo può comunque avvalersi di uno specifico contributo di Google volto proprio a finanziare no profit e enti educativi perché possano promuovere i loro contenuti sul web, c’è da chiedersi come mai “fare pubblicità” presso gli utenti che cercano parole legate alla Shoah sia così costoso (a grandi linee, nel sistema di Google AdWords, il costo di ogni click è determinato in base a quanto siano disposti a pagare gli inserzionisti perché il proprio sito compaia con visibilità nei risultati degli utenti che ricercano quei particolari termini scelti). Google ha decisamente negato, ricordando anche come il proprio interesse sia offrire risultati autorevoli e che sono diverse le sue iniziative per evitare che siti di bufale e odio prevalgano, inclusi i fondi messi a disposizione dello stesso Museo Breman.
Tuttavia, dopo alcune settimane da quando il motore di ricerca ha promesso di intervenire, il primo risultato digitando la domanda “did the Holocaust happen” rimane uno dei più perversi siti negazionisti del mondo. I rappresentanti di Google spiegano che ci vuole tempo. L’interrogativo è quanto tempo rimanga. Perché i catastrofici risultati di un web senza responsabilità sono sempre più profondi.

Rossella Tercatin