Oltre il nome, storie di Memoria
A Borgo San Dalmazzo, in provincia di Cuneo, il 18 settembre del 1943 entrò in funzione per volontà dei nazisti un campo di concentramento. Fu l’unico campo presente sul territorio piemontese e uno dei quattro presenti sul territorio del Nord Italia, assieme a quello di Fossoli, di Bolzano e di Trieste. Dal campo di Borgo vennero deportati 357 ebrei, di questi 334 erano stranieri, i quali avevano passato il confine francese in cerca di vana salvezza in Italia attraverso la Valle Gesso. È da questa vicenda storica ed in particolare da questo numero “334” che ha inizio la ricerca storiografica di Adriana Muncinelli e Elena Fallo che dopo nove anni di lavoro ha visto la pubblicazione nel volume “Oltre il nome. Storia degli ebrei stranieri deportati dal campo di Borgo San Dalmazzo” (Le Chateau, Aosta 2016). Si tratta quindi di un’ opera complessa ed articolata, scritta a quattro mani, dove il lavoro delle due autrici si fonde all’unisono. Adriana Muncinelli, laureata in storia e filosofia, da molto tempo collabora con l’Istituto storico della Resistenza della Società Contemporanea “Dante Livio Bianco”. Elena Fallo, laureata in Storia contemporanea presso l’Università degli Studi di Torino è insegnante di filosofia e storia.
A presentare il libro insieme ad Adriana Muncinelli, Barbara Berruti, in rappresentanza dell’Istituto Giorgio Agosti (Istoreto), David Sorani, consigliere della Comunità ebraica di Torino e Beppe Segre, ex presidente della Comunità.
“Questo libro”, commenta in apertura Sorani, “rappresenta una ricostruzione effettiva dei percorsi che queste famiglie hanno compiuto, ed è così che la memoria si fa storia”. “Oltre il nome” è quindi ricostruzione di un percorso, o meglio di 334 strade e incroci, racchiusi in cinque passaggi, che sono poi le cinque parti in cui è diviso il volume. Punto di partenza le origini, o meglio la storia delle terre di provenienza, 23 paesi oggi e all’epoca grandi imperi. “E voi da dove venite?”, titola la prima parte. E la risposta è “Dipende”, perché ad essere raccontate sono le diverse storie di migrazione, dove ognuno ha la propria. Migrare per dove? Verso “Terre promesse”, almeno così sembravano. Segue “Una tempesta di vento”, la guerra che tutto travolge. E ci si ferma a “Quel settembre del ‘43”.
“Un operazione di memoria e storia e un operazione di grande impegno civile”, così Barbara Berruti sintetizza il lavoro delle due autrici. Ed è poi Beppe Segre a sottolineare l’impegno che soggiace alla ricerca: “Scavare nella storia per restituire nomi, umanità, sentimenti”. “Da umili vittime sconosciute a vittime conosciute, a cui è stata restituita la voce”.
A dialogare con l’autrice e a fornire stimolanti spunti di riflessione è poi lo storico Lucio Monaco che definisce l’opera “Un formidabile strumento di ricerca e di aggiornamento”. Molte le considerazioni emerse: innanzitutto l’elemento dell’empatia, che segna in maniera profonda l’impianto storiografico e narrativo. Ad esempio l’uso dell’espressione “I nostri ebrei”, basta un termine per captare un sentimento di vicinanza tra le autrici e le vicende dei singoli, un “nostri” che inevitabilmente avvicina in seconda battuta il lettore. Una vicinanza che lo stesso Monaco definisce “abbastanza insopportabile”, vista la fine tragica a cui sono destinate le vite dei 334 protagonisti. Le autrici molto spesso procedono formulando delle ipotesi, provano ad inoltrarsi nella mente dei protagonisti.
Sono poi le parole della stessa Adriana Muncinelli a chiudere la presentazione. “Le origini della ricerca”, spiega l’autrice, “fanno capo a una sensazione precisa: ricordare queste persone era ed è nostro dovere in quanto non ebree e in quando cuneesi perché la nostra terra che non è stata in grado di salvarli”. La memoria va considerata secondo Muncinelli nella sua ambivalenza: “Ricordarsi dell’orgoglio dei giusti e non dimenticare coloro che non lo sono stati”. Le autrici appartengono a due generazioni diverse: Muncinelli nata nel 1946, Fallo nel 1980. “L’abbinamento è di fatto un passaggio di consegne – commenta – ho volutamente cercato una persona che avesse la formazione e l’età per un passaggio di conoscenze e di competenze”. Elemento centrale per comprendere l’opera è la struttura che vi soggiace, una struttura definita dall’autrice a tappeto: “Ci sono fili di lana grossa, che rappresentano gli aspetti più importanti della storia e a questi fili di storia generale abbiano via via intrecciato la trama delle singole vicende, alcune più dense, altre appena accennate, ma ci sono tutte”. Solo in questo modo si può vedere la coralità, dove il particolare si lega al generale, dove le storie diventano Storia.
Scopo del libro, conclude, è dare concretezza alla storia e rendere più duratura la memoria: “ Le storie vanno ancorate alla Storia, altrimenti sono riducibili alla fiction”. Perché la narrazione delle vicende si arresta davanti ai cancelli di Auschwitz, si chiede infine in modo retorico: “Perché non va dimenticato il percorso che ha avuto quello come capolinea. Ad Auschwitz si poteva non arrivare. Ciò che importa è insegnare come si è arrivati fin lì”.
Alice Fubini
(13 gennaio 2017)