melamed – Il bello entra a scuola

bello a scuolaTutti con un violino in mano. Musica nei corridoi. Sculture in mostra. Attori e registi di cortometraggi e pièces teatrali. Oppure geniali ideatori di oggetti di design. Perché no? «Siamo il Paese del Bello, ma quel Bello per anni lo abbiamo lasciato fuori dalla scuola». Ora dovrà rientrarci. Per legge. Lo prevede uno dei decreti legislativi della Buona scuola appena approvati dal Governo e pronti ad essere esaminati dalle Commissioni di Camera e Senato. È quello sulla «promozione della cultura umanistica, sulla valorizzazione del patrimonio e delle produzioni culturali e sul sostegno della creatività», ma già ribattezzato il decreto del «Made in Italy» anche se il suo principale sostenitore boccia questa definizione.
Sorride Luigi Berlinguer: «Il Made in Italy è solo una parte, questa delega invece intende far rientrare l’arte e la musica nell’apprendimento scolastico: non ci sono solo il vero e il logos». Ci tiene molto l’ex ministro dell’Istruzione che ha partecipato alla stesura del testo e al Miur presiede il Comitato nazionale per l’apprendimento pratico della musica a scuola: «Musica e arte significano emozione e creatività che sono un altro modo per apprendere». Mentre finora, spiega, dalle classi d’Italia, «sono state bandite perché considerate entertainment, solo intrattenimento».
Già dal prossimo settembre invece, in molte scuole d’Italia arriveranno fino a 2400 docenti di musica che non si limiteranno a «spiegare chi sono Beethoven e Chopin, insegneranno a suonarli». Fin dall’asilo. Tutti potranno imparare a suonare uno strumento, tutti canteranno. E poi reciteranno, gireranno film e documentari, dipingeranno, scriveranno poesie, realizzeranno opere d’ingegno e artigianato. Questo perché «le istituzioni scolastiche sostengono lo sviluppo della creatività degli alunni e degli studenti».
In realtà, in moltissimi istituti tutto ciò avviene già e da tempo. E il rafforzamento di materie come musica e arte era già indicato nella legge 107 della Buona scuola. Ma, spiega il professor Berlinguer, «il decreto obbliga chi è rimasto indietro e costringe anche genitori e studenti a chiederlo: è una grande battaglia culturale, bisogna superare l’idea che la scuola sia una purga». Perché con la musica e l’arte insegnate in questo modo, «a scuola entrano l’emozione, il sogno, la fantasia e l’immagine: c’è una voglia matta di questo». In effetti, basta vedere il continuo aumento degli studenti che scelgono di iscriversi nelle medie ad indirizzo musicale: quasi triplicati negli ultimi 4 anni. Alla scuola dell’infanzia e alle elementari sono previsti dei «maestri musicisti» capaci di insegnare ai piccoli a suonare. Il tempo resta una o al massimo due ore a settimana.
E poi c’è quel «made in Italy» citato nei principi generali del testo che gli studenti devono imparare a conoscere e riconoscere e include, spiega Berlinguer, «tutta la genialità italiana che il mondo ci invidia e di cui il mondo ha una gran fame». Siamo il Paese del Bello, dice l’ex ministro, «va coltivato nella scuola, non solo perché è bello ma anche perché rende».
È d’accordo con lui Giorgio Rembado, presidente dell’Associazione nazionale presidi, che però resta perplesso sull’articolo 17, cioè quello dei finanziamenti. Per l’attuazione di quello che viene definito il «Piano delle Arti», il decreto prevede una dotazione di due milioni di euro annui a partire dal 2017. «Davvero troppo pochi per un Paese che affonda nel patrimonio artistico e che avrebbe bisogno di un sostegno economico molto più forte per promuoverlo fin dalla scuola: i due milioni di euro vanno divisi per 7 milioni e mezzo di studenti». E poi, c’è quel comma 1 che ricorda: «Dall’attuazione delle disposizioni non devono derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Ecco, dice il presidente dei presidi d’Italia, «le intenzioni sono ottime, ma io sono meno ottimista di Berlinguer e quella frase demanda tutto solo alla buona volontà dei singoli dentro e fuori le scuole: queste sono innovazioni che rischiano diventare pie illusioni, se ci si crede sul serio bisogna agire di conseguenza». Ci sono due mesi di tempo prima che il decreto diventi legge. Rembado azzarda: «Magari, si può parlare con il ministro del Tesoro…».

Claudia Voltattorni per corriere.it

(21 gennaio 2017)