Venezia – “Ricordo, una sfida attuale”
Questa mattina al teatro Goldoni si è svolta la cerimonia cittadina del Giorno della Memoria con gli interventi del sindaco di Venezia, Luigi Brugnaro, e del presidente della Comunità ebraica Paolo Gnignati. A seguire il concerto del Maestro Massimo Somenzi, che ha eseguito al pianoforte alcune musiche di Ernest Bloch.
Pubblichiamo il discorso integrale del presidente Paolo Gnignati:
Vorrei prendere le mosse della mia breve riflessione dalla domanda che, in modo ricorrente e forse paradossale, si è affaccia da parte Ebraica è: è giusto continuare ad avere la il Giorno della Memoria?
Elena Loewenthal nel suo libriccino “Contro il Giorno della Memoria” ci mette giustamente in guardia sul pericolo della Giornata come rito che diviene una mera ripetizione meccanica: un omaggio ad un passato che si sente come un obbligo, in realtà, scomodo e invadente.
Il rilievo mette giustamente in luce che in tanto il Giorno della Memoria ha un senso – ed io credo che effettivamente lo abbia – solo però nella misura in cui serve, non ad un mero ricordo, bensì ad affinare oggi un sapere critico individuale e collettivo.
Cosi non ci ritroviamo qui in questo giorno tanto per porgere un rituale omaggio alle vittime di una persecuzione e tanto meno agli ebrei, perché Auschwitz (i cui cancelli sono stati abbattuti dall’Armata Rossa il 27 gennaio 1945) è la negazione dell’identità ebraica che si fonda invece su di una serie di valori positivi per la vita, quanto per cercare di sfruttare questa tragica opportunità per fare esercizio della nostra coscienza critica ed alimentarla.
In questo senso il Giorno della Memoria è, tutt’ora attuale e tutto rivolto al futuro e continua ad essere un momento che può essere utilizzato non dagli ebrei bensì dalla società Italiana nel suo complesso per confrontarsi con la pagina nera delle leggi razziali, della deportazione e dello sterminio degli ebrei Italiani che anche per mano degli Italiani è stata compiuta.
A Venezia 244 sono stati i deportati che sono stati strappati alle loro case ed alle loro famiglie e che non hanno fatto ritorno; sono stati prelevati da Italiani, i quali, da soli o assieme agli occupanti Tedeschi, hanno rastrellato le abitazioni ed inviato ad Auschwitz i vecchi che erano nella Casa di riposo di campo del Ghetto.
Detto così sembra impossibile che genitori o nonni dei cittadini attuali abbiano fatto o collaborato verso un simile risultato.
Ed invece così è stato e cadremmo appunto nel vuoto rito se ci limitassimo a ricordare le vittime magari rabbrividendo ed affermando che erano altri tempi.
Se invece cominciamo a dirci che i carnefici erano persone in carne ed ossa, mosse sovente da un credo criminale, ma spesso anche da interessi personali, facciamo un passo avanti nella comprensione di quanto è successo.
La persecuzione degli ebrei ha significato per molti un’occasione di arricchimento o progressione economica o professionale.
I posti lasciati vuoti dagli ebrei che dal 38 sono stati espulsi dagli uffici pubblici dall’insegnamento nelle scuole, dalle professioni, dalle attività economiche e dalle università sono stati presi da altri nel silenzio e nell’indifferenza dei più. Le aziende ebraiche sono state acquisite da Italiani “ariani” che sulla base di quegli acquisti hanno prosperato.
Il male quindi non è stato compiuto, o quanto meno non è stato solo compiuto, dai nazi fascisti ma da una fascia ampia di persone che nella persecuzione ha creduto o che, più semplicemente, dalla persecuzione ha tratto vantaggio oppure ha semplicemente voltato la testa.
Personalmente sono convinto che alle persone non possa essere chiesto l’eroismo e non possa cioè essere chiesto quel comportamento di chi – è la legge istitutiva della Giorno della Memoria a ricordarcelo – a rischio della propria vita si è opposto ed ha aiutato gli ebrei.
Possiamo però dire che, mentre sono stati veri e propri eroi quelli che si sono opposti, il problema su cui soffermarsi è quello di comprendere come si sia potuti giungere ad una situazione in cui nell’indifferenza di molti solo una ristretta minoranza abbia saputo mantenere fedeltà a quei principi di solidarietà umana che la tradizione ebraico cristiana ci ha tramandato.
Ecco allora che ci accorgiamo che le leggi razziali sono davvero uno dei peggiori frutti della dittatura fascista perché non solo hanno portato l’emarginazione, la sofferenza ed in molti casi la morte degli ebrei, ma pure la disgregazione in seno agli Italiani, mettendo gli uni contro gli altri e spingendo i molti ad approfittare dei pochi e più deboli.
Le leggi razziali hanno cioè contribuito a fare emergere il peggio ed il lato oscuro di molti che probabilmente in una società diversa non avrebbe avuto lo spazio per prevalere e corrispondentemente hanno confinato ai soli eroi la frangia delle persone che hanno sentito comunque la necessità di opporsi.
Chi infatti ha nascosto gli ebrei a rischio della vita propria e dei propri cari, li ha aiutati, ha consentito fuggissero agevolando la loro fuga, se effettivamente è stato un vero eroe, lo ha fatto non certo per protagonismo, ma per tener fede a quei principi di solidarietà umana che le leggi razziali hanno tentato di sopprimere e che invece essi sentivano come superiori a qualsiasi legge positiva.
Sono persone, molto spesso semplici, che hanno fatto pratica applicazione di quei principio propri di quella visione del mondo che vede l’uomo e la sua dignità, la coscienza individuale e la solidarietà umana come qualcosa che preesiste e che sta in una sfera in cui lo stato e la collettività non può, costi quello che costi, entrare.
Sono gli stessi principi che siamo oggi chiamati a coltivare nella costruzione del nostro oggi e del nostro domani che certo non è privo di insidie, ma proprio dall’insegnamento delle leggi razziali capiamo che non possiamo permettere di giungere al punto che bisogna affidarsi all’eroismo di pochi perché il buio non sia completo, ma dobbiamo lavorare insieme, prima, ogni giorno, per preservare un ambiente sociale in cui alla base ci sia la libertà e la dignità di ciascuno.
Il pericolo, d’altra parte, per dirla con Bauman, illustre pensatore ebreo di recente scomparso e che ha subito la persecuzione, è attuale perché viviamo in un epoca dominata dalla tecnologia e da un economia globalizzata in cui il progresso non vuole più necessariamente dire un miglioramento per tutti, bensì un inesorabile cammino – anche in Europa ne siamo ormai più che mai consapevoli, che può lasciare indietro ed emarginare fasce più deboli ed in cui, quindi, nuovamente, la sopravvivenza individuale del singolo gruppo può contrapporsi a quello degli altri gruppi che compongono la società.
Preservare l’ambiente sociale, e cercare di assicurare a ciascuno, come la nostra Costituzione ci impone, effettiva eguale dignità, ed assieme coltivare la capacità dei singoli gruppi che compongono la società di convivere pacificamente con la differenza degli altri gruppi nuovi o vecchi che siano è, invece, l’unico metodo per impedire che prevalga la paura e la chiusura che di essa è figlia, e quindi la dissoluzione del tessuto che deve tenere uniti noi tutti.
Ecco allora che le leggi razziali chiaro paradigma della devastazione che il fascismo ha portato non solo agli ebrei ed alle loro vite ma pure alla società Italiana nel suo complesso calpestando questi valori e disgregando le basi della società Italiana la quale, prima che nella Resistenza armata e nella Liberazione, ha per fortuna trovato riscatto in chi al progetto di sterminio si è opposto, aiutando gli ebrei a nascondersi o fuggire.
Se vogliamo che ciò non accada più, anche in misura ridotta ad altri, e quindi che non calpestati i diritti delle diverse minoranze come delle nuove fasce deboli, dobbiamo impegnarci tutti come cittadini e noi Ebrei sentiamo che in questo impegno la tragica esperienza vissuta ci chiede di essere in prima linea.
È per questo che ringrazio particolarmente il Sindaco di Venezia che anche quest’anno ha mantenuto il Comune protagonista del coordinamento delle manifestazioni collegate alla Giorno della Memoria che si caratterizzano per una varietà e spessore davvero significativi e che sono volte a stimolare non solo il ricordo ma a rafforzare il senso critico che istituzioni e singoli spero trovino occasione di coltivare anche in questa occasione.
Paolo Gnignati
(22 gennaio 2017)