Ferramonti, la musica della libertà
“È sorprendente notare come in tutto il mondo la musica perseguitata stia portando ad una nuova geografia della Storia della musica: nuovi repertori musicali, confronti prima impensabili tra musicisti, compositori e tradizioni, inediti accostamenti di sonorità, di forme, di generi e di stili, continue scoperte, nuove energie artistiche. Tutto ciò impone domande importanti. Come è possibile conciliare espressione artistica e privazione della libertà individuale, segnata dalla deportazione, dall’omicidio, dall’internamento, dall’esilio, dal folle e indelebile marchio dell’antisemitismo?”. A porsi questo interrogativo, il musicologo Raffaele Deluca che ha dedicato grande impegno alla storia musicale di Ferramonti. Un luogo poco noto agli italiani ma dove transitarono, fra il giugno 1940 e il settembre ‘43, più di 3mila ebrei stranieri e apolidi e, in numero ridotto, altri internati stranieri. L’intera vicenda di questo campo di internamento in provincia di Cosenza è tornata protagonista grazie al grande concerto che Viviana Kasam e Marilena Citelli Francese hanno organizzato all’Auditorium Parco della Musica di Roma per questa sera in occasione del Giorno della Memoria. “Serata Colorata” il titolo di questa iniziativa che intreccia arte e Memoria, sviluppata su un progetto proprio di Raffaele Deluca e promossa dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
La zona su cui sorse il campo di Ferramonti era povera e malarica. Eppure, nonostante la mancanza di libertà, la carenza di cibo e le malattie, qui (come, del resto, negli altri quasi cinquanta “campi del duce”, allora distribuiti nella Penisola) gli internati venivano trattati in modo umano. Per questo, gli internati del campo, in particolare gli ebrei, conservarono un ricordo generalmente positivo dei loro “carcerieri” (Paolo Salvatore, Mario Fraticelli, Gaetano Marrari); come pure dei contadini dei dintorni e degli abitanti dei paesi vicini (Tarsia, Bisignano, Santa Sofia), che avevano avuto l’opportunità di conoscere e del cappuccino inviato dal Vaticano a vivere nel campo: padre Callisto Lopinot, un missionario di origine alsaziana.
Così a Ferramonti furono possibili attività artistiche e musicali. Nel campo, in particolare, erano internati molti musicisti, alcuni dei quali sarebbero divenuti molto noti nel dopoguerra.
Tra essi, il trombettista Oscar Klein, il direttore d’orchestra Lav Mirski, il pianista Sigbert Steinfeld, il cantante Paolo Gorin, il compositore Isko Thaler e il pianista Kurt Sonnenfeld, giovane ebreo viennese, che sperava di espatriare negli Stati Uniti, ma venne arrestato a Milano e inviato a Ferramonti.
Spesso nel campo venivano organizzati concerti musicali, sia strumentali che corali, e spettacoli di vario tipo, cui gli internati dettero il nome di “Serate Colorate”, dove il jazz, il cabaret, l’operetta dominavano la scena. Di tutta questa ricchezza musicale si era quasi persa traccia, finché Armida Locatelli, erede e per anni assistente di Sonnenfeld, non si presentò un giorno al Conservatorio di Milano con una scatola di spartiti manoscritti che aveva ricevuto in eredità. Erano le musiche scritte ed eseguite a Ferramonti, ma anche fotografie, diari, lettere. Materiali raccolti da Deluca che spiega: come i musicisti del campo “segregati dal regime fascista nell’internamento in cui scontarono senza colpa i delitti della guerra e dell’odio razziale, dimostrano la capacità superiore dell’uomo di trascendere il significato della vita attraverso la musica, in tutte le multiformi espressioni di stili, di strumenti, di generi che hanno caratterizzato la loro personale tensione artistica, anche nella valle malarica del fiume Crati”.
“Note, anima del mondo”
Per il quarto anno consecutivo abbiamo organizzato il Concerto della Memoria e ogni anno ci siamo dette: “Una storia così non la troveremo mai più”. Come ricreare l’emozione dei violini che accompagnarono la fuga e la detenzione nei lager? O lo struggimento delle note composte nelle baracche di Auschwitz, di Buchenwald, di Theresienstadt e suonate davanti alle camere a gas? E chi potrebbe eguagliare il senso etico di Toscanini, che diresse un concerto a Tel Aviv nel1936 per salvare la vita ai musicisti ebrei perseguitati dai nazisti, e non volle che gli fosse rimborsato nemmeno il viaggio? E invece quest’anno abbiamo scoperto Ferramonti. Una pagina infame della storia italiana, quella dei 48 campi di concentramento istituiti dal Duce, che è stata cancellata dalla memoria collettiva degli italiani “brava gente”, ma anche, paradossalmente, un esempio della generosità del nostro Sud, terra di accoglienza, di integrazione e di scambio culturale. Ferramonti, con la sua musica scritta e suonata per dimenticare le privazioni, l’ingiustizia e la durezza della persecuzione, e per “colorare” di emozioni la vita del campo. Qualche attimo di oblio, per fingere di essere ancora là, dove la vita era allegra e piena di speranza. È questo che ci racconta “Serata Colorata”: l’aspetto salvifico della musica. Quando la dignità umana viene umiliata, quando il futuro sembra perduto, quando l’individualità è cancellata, la musica restituisce speranza, orgoglio, senso alla vita. La musica, linguaggio universale di fratellanza, deve insegnarci, in questo momento storico in cui di nuovo sorgono muri e tanti rifiutano aiuto ai perseguitati trincerandosi dietro l’egoismo del proprio benessere, che ognuno di noi può e deve fare qualcosa, e che la nostra anima deve suonare all’unisono con l’anima del mondo.
Viviana Kasam e Marilena Citelli Francese
Pagine Ebraiche febbraio 2017
(26 gennaio 2017)