Qui Bologna – Una matita per ricordare
“Con La seconda generazione volevo riaprire una ferita che faceva male da molto tempo. Volevo curarla, e ricoprirla con una graziosa cicatrice a forma di fumetto. Volevo dare immagini e parole a un dolore che mi accomuna con tutta una generazione, quella dei figli dei sopravvissuti. Avevo bisogno di potermelo lasciare dietro le spalle.
Non avrei mai immaginato che sarebbe stato l’inizio di una incredibile avventura al Paese della Memoria”
È con queste parole che Michel Kichka – il disegnatore israeliano di origine belga autore del graphic novel edito da Rizzoli e oggetto in queste settimane di una mostra al Museo Ebraico di Bologna – ha iniziato ieri il suo intervento durante la seduta solenne del Consiglio comunale di Bologna.
Dopo il saluto della presidente del Consiglio Comunale Luisa Guidone e il discorso di Riccardo Calimani, che ha voluto sottolineare soprattutto la necessità di rimanere uniti, in particolare in Europa, contro l’insorgere di nuove forme di violenza, Kichka è intervenuto con un discorso in cui, oltre a ritornare sui temi della Memoria e sui contenuti del suo libro, ha tenuto a ricordare il suo legame speciale con l’Italia.
“Ricordare è un po’ fermare il tempo, voltarsi indietro e tornare sul passato, misurare quello che è stato fatto ma anche e forse soprattutto quello che ci resta da fare. L’Italia, va ricordato, ha una importanza particolare nella mia storia personale. È il paese dove mio suocero, Joseph Alfandari, ebreo di Salonicco nato nel 1923, ha preso parte alla riconquista dell’Europa nazista da parte degli alleati: fuggito da Parigi per evitare l’arresto, arrestato in Spagna, incarcerato e poi riuscito a evadere, per poi trovarsi a fotografare l’Italia dal cielo per preparare lo sbarco alleato”. Ma l’Italia è anche il luogo da cui sono partito per il mio primo viaggio in Israele: avevo 15 anni, e con l’Hashomer Hatzair, il movimento socialista giovanile, andavo a passare un periodo di lavoro in un kibbutz. Per farci scoprire Israele arrivando dal Mediterraneo hanno voluto farci ripercorrere le tappe dell’Exodus, e siamo partiti in nave da Venezia.
L’Italia è per me il paese di Se questo è un uomo, il capolavoro di Primo Levi che mi ha commosso e turbato per la sua capacità di mostrare le storture dell’anima dei carnefici e la forza dell’istinto di sopravvivenza delle vittime. Un libro magistrale che ha avuto il successo che meritava con almeno quarant’anni di ritardo.
Ma l’Italia è per me anche il film di Benigni la vita è bella, che ho particolarmente apprezzato, probabilmente proprio perché faccio parte della seconda generazione, mentre invece non è affatto piaciuto a mio padre, la troppa sofferenza non gli ha permesso di guardarlo con la distanza necessaria. E l’Italia sono le avventure di Max Fridman, raccontate e disegnate dal mio amico Vittorio Giardinio, autore bolognese famoso in tutto il mondo, che tramite il suo personaggio racconta l’Europa di ieri”. E proprio Giardino ha inaugurato la mostra “Michel Kichka. La seconda generazione”, curata dalla direttrice del M Ebraico di Bologna Vincenza Maugeri e da Caterina Quareni, che ha aperto il fitto programma di incontri, lezioni, tavole rotonde ed eventi culturali di ogni tipo organizzati in occasione della Giornata della Memoria.
Un intervento che ha aperto due giorni intensi a Bologna, per Kichka, che questa mattina ha incontrato gli studenti di due scuole cittadine, proprio al Meb, per partecipare oggi anche a un laboratorio con gli allievi dell’Accademia del Fumetto ed Emilio Varrà, dell’associazione Hamelin, uno dei curatori di BilBOlBul, il grande festival-laboratorio che la città dedica al fumetto d’autore.
A conclusione del suo intervento Kichka ha voluto ricordare suo padre, che a 91 anni continua a portare avanti la sua missione di testimoniare quello che è stato, e che oltre a innumerevoli incontri con le scuole in Belgio e ai viaggio della Memoria che ha accompagnato ha scritto un libro: “Col passare degli anni io mio libro ci ha avvicinati e ora quanto parte per Auschwitz-Birkenau insieme al suo, Une adolescence perdue dans la nuits des camps porta il mio libro, una riprova di come noi, che siamo la seconda generazione, possiamo portare avanti quanto fatto dai testimoni, e di come abbiamo il compito di passare il testimone alla terza, e poi alla quarta generazione. Mi pare che questo sia forse il messaggio più importante e più forte che possiamo dare nella Giornata della Memoria”.
Ada Treves twitter @atrevesmoked
(27 gennaio 2017)