Storie – Il nome Himmler, o Mengele

avaglianoCome si affronta il peso di chiamarsi Himmler, Hess o Mengele. Che fine hanno fatto i figli dei gerarchi del nazismo? A queste domande risponde il saggio I figli dei nazisti (Bompiani) di Tania Crasnianski, avvocato penalista franco-tedesca ma con origini russe, frutto di una lunga ricerca negli archivi pubblici e privati.
Molti dei rampolli dei fedelissimi di Hitler hanno scoperto la verità sui propri genitori e sul loro ruolo nella macchina di distruzione di massa del nazismo e di sterminio degli ebrei solo dopo la fine del conflitto. Ma le reazioni sono state differenti, a volte opposte. Alcuni si sono allineati alle posizioni dei genitori, altri le hanno condannato fermamente.
Sono soprattutto le figlie uniche a non aver rinnegato i padri: Gudrun Himmler, discendente dell’architetto della Soluzione Finale, Edda Göring, figlia del maresciallo del Reich, e Irene Rosenberg, il cui padre era Alfred Rosenberg, l’ideologo del nazismo, sono state vicine a gruppi neonazisti e hanno vissuto nel culto del genitore.
Anche Hans-Jürgen, il secondogenito di Höss, il comandante di Auschwitz, è rimasto fedele ai vecchi ideali del proprio genitore.
Sull’altro versante, ci sono figli che non se la sono sentita di amare il padre “mostro” e hanno preso le distanze da lui. Niklas Frank, il figlio di Hans Frank, detto il “boia di Cracovia”, considera il padre un “assassino”. Rolf Mengele, il figlio di Josef, il medico della morte, ha voluto cambiare il proprio cognome per non tramandare ai figli la vergogna familiare.
E non è mancato chi ha cercato di espiare le colpe dei padri scegliendo la via della fede, come Martin Adolf Borman, figlio del potente segretario di Hitler e figlioccio del Führer, diventato missionario cattolico. Addirittura c’è chi si è convertito all’ebraismo, come Aharon Shear-Yashuv, all’anagrafe Wolfgang Schmidt, diventato rabbino dell’esercito israeliano.
Anche in Italia, personaggi illustri hanno dovuto affrontare il passato fascista dei genitori, dai giornalisti Giampiero Mughini e Pierluigi Battista (che ha dedicato alla vicenda il recente libro Mio padre era fascista, Mondadori) al comico Paolo Rossi e agli scrittori Marco Lodoli e Margaret Mazzantini. Un confronto sempre difficile, a tratti drammatico, ma necessario.

Mario Avagliano

(31 gennaio 2017)