Dieci anni senza Emanuele Luzzati
Una giornata di studi in suo onore

Una Giornata intitolata “Guarda il cielo e conta le stelle…” (Genesi XV,5) in ricordo di Emanuele Luzzati a 10 anni dalla morte si svolgerà a Roma domenica prossima nella sala del Centro Bibliografico dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane. Nel corso dei lavori sono previsti gli interventi di Ariela Fajerazen, Valentina Filice, Pupa Garribba, Carla Rezza Gianini, Giacometta Limentani, Bice Migliau, Sergio Noberini. Il dibattito sarà moderato da Georges De Canino. Nel pomeriggio le attività proseguiranno al Museo Ebraico di Roma con un laboratorio creativo per bambini dai 6 anni sulle tecniche di Luzzati, a cura di Elisa Pezzolla (dell’Officina Didattica Museo Luzzati), una visita guidata di presentazione delle formelle in maiolica “I 12 mesi Ebraici” (1960) e la proiezione del cortometraggio “Jerusalem” di Emanuele Luzzati e Giulio Gianini.

Creare per farsi ascoltare

Giorno per giorno, mese per mese, anno per anno. È cosi che si fa. Ogni luna nuova, (Rosh kodesch) è il capo mese che apre un nuovo ciclo del tempo ebraico, e segna i cicli delle feste, della vita, della conoscenza che passa tra un padre e un figlio. Emanuele Lele Luzzati, in vita, giorno per giorno aggiunge un suo personale pezzo di storia, è come osservasse il precetto, la mitzvà, di raccontare. (We higdatà le vinkhà ba jom u / Lo racconterai a tuo figlio in quel giorno). Ma i suoi sono racconti senza parole, perchè le parole non bastano per raccontare le sue storie. Le parole dette o scritte dicono a pochi, sono per chi conosce quel codice linguistico, quella specifica scrittura.
Una lingua non è universale, ma le immagini, quelle invece, parlano a tanti, quasi a tutti. Certo è difficile parlare a tutti per un uomo di poche parole come Lele. Ci riesci solo se hai una grande voglia, un grande talento, e molto molto molto allenamento. Lele si è allenato, per più di 85 anni si è allenato. Ha cominciato molto presto a far disegni, i primi erano per gli arazzi di sua mamma, quelli fatti con le pezze di risulta, appesi in casa sua; è la stessa casa che lo ha visto nascere, sfollare, ritornare e costruire tutti i passaggi della sua vita. Li c’è anche un grande armadio in compensato con un grande cavaliere che sta dipinto sulle porte, duramente colorato e in posa forte, messo li per difenderne ricordi ben custoditi.
È tra gli arazzi e le ante degli armadi, sul tavolo da cucina e sul tavolo della sala, che ha continuato gli allenamenti. Fumetti, incisioni, stampe, serigrafie, acqueforti, illustrazioni, animazioni, pupazzi, ceramiche, sculture, tessuti, lampade, oggetti d’uso, scenografie, manifesti, carte da gioco, libri…ha perfino fatto le pareti interne di un transatlantico. Mani allenate e straordinariamente inventive, mani vitali. Così ha prodotto le cose che conosciamo, non certo risparmiandosi, anzi Lele le cose non le fa per se stesso, le fa per gli altri; il fatto è che per “accenderlo” ci vuole una domanda e lui semplicemente, come se fosse “automatico” ti costruisce la risposta. Gli chiedi una Chanukkia? e lui mette in cottura la ceramica. Vuoi Giobbe che ospita i suoi invitati a tavola? Dai tempo al tempo e Giobbe arriva. Hai in giudaico-piemontese “la bataja ad i ebrei ad mouncalv” da illustrare? Ti fa scorrere i personaggi sotto gli occhi come lo farebbe un cantastorie. È come se agli altri chiedesse: dimmi dove vuoi che ti porti? indicami la direzione che tu vedi? Fammi capire dietro quale siepe è la tua porta? Poi passo dopo passo il suo/tuo racconto incomincia, si delinea, si fa ascoltare (scemà israel / ascolta israele). Senti le forme, i colori, i segni, le architetture che si incastrano si intrecciano si aprono. I suoni li vedi e diventano immagini, scrivono e descrivono nello spazio di un campo visivo, luoghi di un tempo che non è più; spazi fiabeschi e immaginari; palazzi merlati con regine e mitologie; giardini paradisiaci e tentatori; città così improbabili da sembrar vere; ambiti possibili di luoghi impossibili.
Questa sua capacità narrativa universale ognuno la può leggere come vuole; con gli occhi di un bimbo, con l’esperienza di un vecchio saggio, con le voglie e le ansie di un irrequieto ragazzo. Se ti farai prendere dalle sue storie, le storie ti prenderanno. Da quel momento loro non saranno sue. Loro sono le tue storie. Qui Lele avrà raggiunto lo scopo, ti avrà dato un pò di se stesso e in cambio ti chiede solo di capire che giorno per giorno le storie ci sono per essere vissute e raccontate. Ma per viverle ci vuole sempre un Altro, un uomo, una donna, un bambino, una comunità. Qualcuno che ascolti per poi fare ascoltare a qualcun altro. Senza l’Altro, senza l’ascolto, non si è nessuno.

Elio Carmi, Consigliere UCEI

(1 febbraio 2017)