Pitigliani – Una storia nel secolo breve
“Una storia nel secolo breve”. Appuntamento a domenica 19 febbraio, ore 17.30. C’è grande attesa a Roma per quella che si annuncia una serata davvero straordinaria, segnata da molti ricordi e molte emozioni. Al termine di un poderoso lavoro di ricerca, sostenuto tra gli altri anche dall’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, vede infatti la luce un denso volume dedicato alla storia del Pitigliani, per molti decenni orfanotrofio della Roma ebraica e oggi suo imprescindibile punto di riferimento culturale. Una storia appassionante, che ha seguito molte trasformazioni, e che è stata raccontata in oltre settecento pagine di interviste e approfondimenti da Angelina Procaccia, Sandra Terracina, Ambra Tedeschi e Micaela Procaccia, curatrice dell’opera.
A parlare i documenti d’archivio e le testimonianze di ex ospiti, educatori, responsabili che hanno animato la vita dell’ente. A partire dalla fondazione, in un arco di tempo dal 1902 al 1972, il libro attraversa le vicende dell’ebraismo romano e italiano dopo la definitiva unificazione del paese, durante gli anni della Prima guerra mondiale, della persecuzione fascista e nei mesi dell’occupazione, la faticosa ricostruzione, l’accoglienza degli orfani dei deportati e poi di bambini e ragazzi ebrei espulsi dai paesi arabi o profughi dall’Europa orientale, fino alla trasformazione dell’Istituto negli anni ’70, in linea con i nuovi orientamenti educativi e assistenziali.
A pubblicare l’opera, di cui trovate uno speciale approfondimento su Pagine Ebraiche di febbraio, la casa editrice Giuntina.
(Nell’immagine una festa di Purim al Pitigliani negli Anni Trenta)
C’era una volta…Potrebbe iniziare così la nostra storia, una storia lunga più di un secolo, piena di personaggi, protagonisti e comparse, famosi o sconosciuti, maghi, fate, madrine, orchi e folletti e soprattutto bambini, tanti bambini. Una storia che racconta un pezzo di ebraismo vissuto insieme all’Italia, nel mondo travagliato e vorticoso del ventesimo secolo, una storia che continua, attraverso le profonde trasformazioni dei nostri giorni, negli stessi luoghi, con i bambini di oggi, in diverso modo. È un racconto complesso, formato da tanti racconti intrecciati fra loro, ricco di sorprese, una continua scoperta di avvenimenti, persone e luoghi attraverso i racconti dei testimoni, indagini e nodi sciolti anche con l’aiuto delle ricerche bibliografiche e di archivio e con il prezioso supporto di Internet. L’Orfanotrofio Israelitico Italiano, ora – Centro ebraico italiano «Il Pitigliani» è un microcosmo nel quale i piccoli ospiti sono stati, all’occorrenza, isolati e protetti dagli sconvolgimenti del mondo circostante, almeno nella misura in cui ciò fu possibile. La valutazione di motivazioni e contingenze che portarono alla fondazione dell’Orfanotrofio Israelitico Italiano a Roma, nel 1902, non può prescindere da un breve riferimento alla situazione italiana dell’epoca, rispetto alla tutela e alla cura dell’infanzia.
Si comincia a prestare attenzione a questo problema, così come ad altre importanti questioni sociali, tra la fine dell’800 e i primi del ’900. È un quadro, per alcuni versi drammatico: negli strati più poveri della popolazione i bambini sono spesso denutriti, c’è una elevata mortalità infantile, non esiste tutela legale. Proprio in quegli anni, nasce la Società italiana di Pediatria, che si identifica con quel movimento innovatore che, sulla scia di quanto già avvenuto in molti paesi europei nella seconda metà dell’Ottocento, tendeva a staccare lo studio e l’assistenza del bambino malato dalla medicina generale dell’adulto. Anche nel mondo ebraico appena emancipato trovano spazio queste convinzioni e, ad esempio, il barone Adolfo Scander Levi fonda a Firenze, nel 1890, l’Alleanza universale per l’infanzia e promuove, sempre a Firenze, il I Congresso internazionale per l’infanzia, nell’ottobre del 1896.
Il concetto della tutela dell’infanzia, presente negli strati sociali più elevati e colti dell’ebraismo italiano, riflette, peraltro, non solo l’attenzione ai grandi problemi sociali, che si ritrova nella società italiana, all’indomani dell’unificazione nazionale, a seguito delle dottrine positiviste e delle nuove scoperte scientifiche, ma anche il principio dell’assistenza ai più deboli e bisognosi, da sempre pratica e tradizione della cultura ebraica.
L’idea di fondare un orfanotrofio che permettesse di assistere gli orfani di tutte le Università israelitiche italiane (le comunità ebraiche dell’epoca) risale almeno al 1898 e la si ritrova nel mensile «Il Vessillo Israelitico», importante periodico ebraico a diffusione nazionale, portavoce «dell’ottocentesco patriottismo liberale dell’ebraismo emancipato piemontese», edito a Casale Monferrato. In un articolo dal titolo «Un orfanotrofio israelitico italiano» il Rabbino Giuseppe Cammeo di Modena «propone l’istituzione di un orfanotrofio israelitico italiano, che raccolga e provveda ai poveri fanciulli privi di genitori di tutte le Comunità israelitiche» e si chiede dove si possano trovare delle somme di denaro sufficienti a sostenere un tale progetto. Evidentemente questa è una domanda retorica, che intende invitare gli ebrei italiani in grado di farlo a finanziare questa iniziativa.
(Tratto da – Una storia nel secolo breve)
(6 febbraio 2017)