Levi papers
La fanfara e la memoria
Nel quarto foglio dattiloscritto aggiunto nella pagina 26 della edizione 1947 di “Se questo è un uomo”, capitolo “Sul fondo”, Primo Levi parla della fanfara. Nel dattiloscritto non ci sono correzioni a mano, solo segni a penna rossa, una Bic probabilmente, del redattore che ha revisionato i fogli acclusi, questioni di grafia. La fanfara compare nel libro versione 1958 per la prima volta: “Una fanfara incomincia a suonare, accanto alla porta del campo: suona Rosamunda, la ben nota canzonetta sentimentale, e questo ci appare talmente strano che ci guardiamo l’un l’altro sogghignando; nasce in noi un’ombra di sollievo, forse tutte queste cerimonie non costituiscono che una colossale buffonata di gusto teutonico. Ma la fanfara, finita Rosamunda, continua a suonare altre marce, una dopo l’altra, ed ecco apparire i drappelli dei nostri compagni, che ritornano dal lavoro”. La scelta del termine “fanfara” non è casuale, indica infatti una banda musicale militare, composta in prevalenza da ottoni. E di questo si tratta, non di orchestrina, come in altri campi. Ai deportati la cosa appare come una “buffonata”. Sogghignano anche. La banda militare suona Rosamunda, “canzonetta sentimentale”. Anche questo accentua il senso del ridicolo. Sollievo. Poi appaiono i deportati: “i drappelli dei nostri compagni”. Sono come “fantocci rigidi”. Segue la scena del controllo al rientro dal lavoro. La parola “fanfara” figura solamente in questo passo aggiunto nel 1958, uno dei molti ricordi che riaffiorano alla memoria dell’ex deportato cinque o sei anni dopo il ritorno aTorino. La musica ha un ruolo importante nel Lager. Levi parla della banda che suona in altri capitoli della edizione 1947, ma senza usare il temine “fanfara”; in “Ka-Be”, in “Esame di chimica” e in “L’ultimo”. Nel capitolo dedicato nel 1947 all’infermeria del Lager riguardo le musiche ascoltate scrive: “Esse giacciono incise nelle nostre menti, saranno l’ultima cosa del Lager che dimenticheremo: sono la voce del Lager, l’espressione sensibile della sua follia geometrica, della risoluzione altrui di annullarci prima come uomini per ucciderci poi lentamente”. La musica s’incide nelle menti; è la voce sensibile del Lager. Un’affermazione molto importante: “espressione sensibile della sua follia geometrica”. Sensibilità connessa con geometria; quasi un ossimoro concettuale. Levi non parla molte volte della musica, ma già nella edizione del 1947 è fissata la dimensione e la forma della memoria auditiva. Probabilmente legata a un altro aspetto che agisce nella testa dei deportati: il sogno. Musica e sogno sono tra loro legati, forse perché appartengono all’ambito dell’involontario, del non voluto; sono meccanismi che funzionano in modo autonomo al di fuori della volizione dell’individuo. Inconsci0? Possibile. La fanfara non compare in nessuna altra opera di Levi, salvo nella versione radiofonica di “Se questo è un uomo” del 1962, quando, dovendo introdurre i suoni per definire il paesaggio del Lager, la fanfara verrà citata almeno sette volte. Serve nella economia della trasmissione radiofonica, descrive il luogo e il tempo degli avvenimenti narrati dalla voci. La memoria visiva è fondamentale in Levi, ma ancor di più lo è quella auditiva: Primo ricorda a memoria parole, frasi, espressioni, ascoltate anche una sola volta. Seppure avrà dei vuoti di memoria nel rammentare i versi danteschi in “Il canto di Ulisse”, la memoria auditiva lo soccorre sempre. Tutto resta registrato nella sua mente, come su un nastro. C’è anche un altro tipo di memoria, che riemergerà a distanza di tempo, quella olfattiva. Dopo quasi quarant’anni, nel viaggio di ritorno ad Auschwitz, percepisce l’odore di Polonia. L’odore del carbone è per Levi l’odore del Lager, di quel luogo. Così spiega a un intervistatore nel 1982 nel corso di una trasmissione televisiva. La memoria ha per lui molte facce, e soprattutto molti sensi.
Marco Belpoliti, scrittore
(12 febbraio 2017)