ambiguità…
È un po’ inquietante leggere nella Torà che il popolo ebraico esce dall’Egitto grazie al permesso del Faraone: “…e fu che quando il Faraone mandò via il popolo…” (Shemòt, 13; 17). Nonostante il Faraone sia costretto dall’Eterno a lasciar andare il popolo ebraico, il testo sembra attribuire a lui l’ultima parola. Come se fin dall’inizio della nostra storia avessimo bisogno dell’approvazione del nostro carceriere per poter esistere in libertà. Una sorta di”sindrome di Stoccolma” che ci porta spesso a vivere e rappresentare con disagio, che talvolta diventa una vera e propria vergogna, i nostri segni identitari. Il Faraone infatti non si arrende e insegue gli ebrei fin dentro al mare. Non a caso, il verbo “shalàch” nella Tora ha anche il significato allusivo di “accompagnare”. Viene da domandarci: quanto è il nostro persecutore ad accanirsi deliberatamente contro di noi o quanto siamo noi, viceversa, a voler essere accompagnati dalla faraoninità? L’inseguimento morboso del Faraone è riconducibile spesso ad una nostra ambiguità che ingenera, inevitabilmente, nei nostri stalker, reali e immaginari, l’illusione di poterci riportare in Egitto .
Roberto Della Rocca, rabbino
(14 febbraio 2017)