Torino – Terracini, padre costituente
A settant’anni dall’elezione di Umberto Terracini come Presidente dell’Assemblea Costituente, la Comunità ebraica di Torino ha deciso di organizzare una serata in ricordo di una figura essenziale del panorama politico italiano dai primi del Novecento in poi, prima come giovane leva socialista, poi la svolta comunista, un percorso di mobilitazione politica e morale che attraversa i due conflitti mondiali e che sotto Mussolini si vede costretto a diciassette anni di prigionia. Infine la nobile carica di Presidente dell’Assemblea, un ruolo prestigioso che rivestì, ricordano i relatori in sala, con estremo rigore, un rigore fatto di semplicità.
A tratteggiare la figura di Terracini è l’onorevole Lorenzo Gianotti, punto di riferimento della sinistra torinese e analista della sinistra internazionale. Al suo fianco, il vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane Giulio Disegni e l’avvocato Giuseppe Di Chio, moderatore della serata.
Umberto Terracini nasce a Genova il 27 luglio 1895. Morto il padre arriva a Torino dove in quanto ebreo frequenta la Scuola ebraica. Nasce e cresce in una famiglia ebraica decisamente laica e tolta la sua formazione in gioventù, i legami diretti con la sua identità religiosa sono via via meno marcati. Torino quindi è la città in cui si forma come uomo e come politico: i primi incontri con personalità significative avvengono durante il liceo, dove conosce il socialista Angelo Tasca. In poco tempo diventa attore giornaliero dell’Avanti e ottiene responsabilità nella gioventù socialista torinese. Sarà l’ambiente universitario il più stimolante: lì entra in contatto con Umberto Cosmo, Luigi Einaudi, Antonio Gramsci. All’inizio della Grande Guerra Terracini è leader del partito socialista. Ma viene mandato al fronte e passa gli anni della leva come soldato semplice facendo l’autista. È la fine della guerra a segnare un momento di intensissima attività politica, con la fondazione del Partito Comunista, fino a parlare di ” biennio rosso” torinese, che aveva come obiettivo la rivoluzione verso un mondo nuovo. Ma a prevalere è la marcia su Roma e la vittoria del fascismo e si passa dalla rivoluzione alla lotta per la libertà. Nel novembre del 1926 Terracini viene arrestato a Bologna, seguono molti altri arresti, con l’epilogo nel mega processo del 1928, che costò a Terracini diciassette anni di prigionia. “Anche in carcere”, ricorda Lorenzo Gianotti, “mantenne assieme alla passione e alla fede politica, un’indipendenza di giudizio straordinaria rispetto all’operato del partito”. Terracini infatti si dimostra contrario alla svolta settaria dell’Internazionale negli anni Venti e al Patto Molotov-Ribbentrop, tant’è che viene espulso dal Partito.
“L’insegnamento più grande di Umberto Terracini è l’incapacità di appiattirsi su linee di partito, e a contraddistinguerlo sono state l’onestà politica e la capacità di vedere i punti critici dell’ideologia”, ricorda l’avvocato Di Chio.
Durante l’occupazione tedesca si rifugia in Svizzera. Viene riammesso nel partito solo nel 1944. Infine nel 1946 la svolta con il suo ingresso nell’Assemblea Costituente dopo la caduta di Saragat. “L’uomo che Mussolini aveva tenuto di più in carcere, ebreo e comunista, diventa Presidente”, conclude Gianotti.
Poi l’intervento del vicepresidente UCEI Disegni, anch’egli avvocato, dove sottolinea alcuni tratti di Terracini: “Rigore e semplicità assoluta propri di una persona tutta d’un pezzo”. E ricorda le sue parole in un’intervista fatta a ridosso della sua elezione in quanto Presidente dell’Assemblea Costituente. Alla domanda su cosa avesse provato in quel momento solenne, risponde: “Non ci fu un balzo improvviso dalla mia veste di prigioniero ma fu un percorso graduale. Il reingresso nel partito, quello fu l’evento che mi ha riabilitato”.
Centralità dell’operato di Terracini nell’Assemblea la si ritrova nel dibattito e nella stesura, ricorda Disegni, degli articoli 7 e 8 della Costituzione. In particolare si sofferma sul grande dibattito sul rapporto Stato-Chiesa e sull’inserimento nell’articolo 7 dei Patti Lateranensi. Complessa anche la stesura dell’articolo 8, che poi sancì l’uguaglianza di tutte le confessioni, e non Chiese, come all’inizio le definì Terracini, davanti alla Legge. Disegni poi sottolinea un altro aspetto e cioè come l’Ebraismo nel privato fu limitato, ma nel pubblico la coscienza ebraica e antifascista venne fuori. Basti pensare alla “Legge Terracini”, che sanciva il diritto alla provvidenza per i perseguitati politici e razziali, ben lontana dall’essere una legge riparatoria, ma intesa come “vitalizio di benemerenza”.
Terracini fu uomo politico intransigente e critico, spesso scomodo ai più, ma sempre convinto che si potesse lottare dentro il proprio partito politico e dentro le proprie convinzioni.
Alice Fubini
(15 febbraio 2017)