Il ritorno dell’yiddish

bassanoÈ proprio vero, come ha scritto il direttore di questa testata commentando l’uscita del film Menashe (2017) di Joshua Weinstein, l’Yiddish torna a fare spettacolo e forse in qualche modo sta rinascendo. Ne parla persino l’Economist in un recente articolo dal titolo “The revival of Yiddish in music and literature”. Per adesso si tratta soprattutto di una rinascita musicale, letteraria e cinematografica – nel 2014 uscì il film Tsili di Amos Gitai con molti dialoghi in questa lingua – ma anche a livello accademico ci sono numerose università nel mondo che offrono corsi in Yiddish, e molti ragazzi, specie in Israele, negli Usa e nell’Est Europa, riscoprono un interesse nel suo studio e nella sua cultura, a volte a livello puramente autodidattico. New York City è forse la nuova capitale dello Yiddish, come lo sono state Vilnius o L’vov prima della seconda guerra mondiale, le organizzazioni culturali o teatrali che si dedicano al suo recupero e alla sua preservazione non si contano, ed è nelle comunità Litvish o Hassidiche, come quelle di Brooklyn, Kyrias Joel o New Square, dove il mame-loshn è ancora vivo e raggiunge oltre il 90% dei parlanti, tanto che viene insegnato ai più giovani. Grazie alla forte presenza ebraica negli USA, alla televisione, e a scrittori contemporanei come Jonathan Safran Foer, Nathan Englander o Philip Roth, l’Yiddish è entrato da tempo a pieno titolo anche nel vocabolario dell’inglese americano, specie a livello gergale, tanto che si parla di dialetti maccaronici come lo Yeshivish o lo Yinglish. Non mancano poi i giornali o i settimanali, non solo americani, che si esprimono o hanno degli inserti in questa lingua: da quelli legati agli ambienti Haredi al Jewish Forward, il quale dal 2013 è tornato alle proprie origini con una versione online quotidiana.
Nell’era di Trump e del ritorno dei nazionalismi in chiave populista, l’Yiddish veicola probabilmente un messaggio legato alla sua tradizione umile, “radical” e cosmopolita. Non è raro leggere nelle manifestazioni che hanno animato le città americane negli ultimi mesi, insegne con frasi o motti che riprendono le sue canzoni e poesie di migranti, di resistenza e di fratellanza. Uno tra questi affermava “Mir veln zey iberlebn”, “noi sopravviveremo a loro”. Aggiungerei “oykh tsu zey”, “anche a loro”.

Francesco Moises Bassano

(17 febbraio 2017)