Levi Papers – Cahjim

belpolitiLa strisciolina di carta ritagliata contiene cinque righe. Va inserita, com’è scritto in alto a sinistra, nella pagina 40 della edizione 1947 De Silva, che funge da palinsesto della nuova edizione Einaudi del 1958. Si trova nel capitolo “Ka-Be”, il più lungo di entrambi i libri, il più assiepato di persone e nomi. Vi compare Cahjim. Questo nome c’è già nella edizione del 1947; e in modo positivo: “Chajim si felicita con me: ho una buona ferita, non pare pericolosa e mi garantisce un discreto periodo di riposto” (p.40). Ma chi sia Chajim, non lo si dice. Poco più avanti si precisa. “Chajim è pratico di queste cose…”. Levi lo cita anche nel capitolo “Le nostre notti”, nella prima pagina. Il cantastorie che è entrato nel block si è seduto proprio sulla cuccetta di Chajim, canta in yiddish e così ottiene tabacco, una gugliata di filo. Il canto per sopravvivere. In “Ottobre 1944”, sempre edizione 1947, ricompare: “Chajim, che è in Lager da tre anni, e siccome è forte e robusto, è mirabilmente sicuro di sé; ed io l’ho creduto”. Si sta per preparare la selezione; Primo ha rassicurato il vecchio Wertheimer riprendendo le parole di Chajim. Ma chi è costui? Nella striscia di carta del 1958 è finalmente detto: “Chajim è il mio compagno di letto, ed io ho in lui una fiducia cieca. È un polacco, ebreo pio, studioso della Legge. Ha press’a poco la mia età, è di mestiere orologiaio, e qui in Buna fa il meccanico di precisione; è perciò fra i pochi che conservino la dignità e la sicurezza di sé che nascono dall’esercitare un’arte per cui si è preparati”. Adesso il personaggio è definito, a tutto tondo. Perché quelle cinque righe sono come un ritratto da appendere. Si tratta del compagno di letto; Primo ha verso di lui una fiducia cieca; è ebreo, pio, studia la Legge; ha la sua stessa età; ma soprattutto è orologiaio, quindi è “meccanico di precisione”. Il lavoro che dà dignità, quasi un anticipo di Faussone de La chiave a stella. Chajim è come Lorenzo, il muratore piemontese operaio volontario in Germania, che tira su muri a regola d’arte e nutre Primo. Dignità più sicurezza. Non è poco. Anzi, è tutto nel Lager: “esercitare una arte per cui si è preparati”. Qualche capitolo dopo troveremo Levi stesso in questa posizione: chimico nel laboratorio della Buna. Non solo salvarsi nel Lager, ma salvare, se così si può dire, l’anima, che è poi la propria dignità di essere umano con il lavoro. Salvato dal lavoro, dirà molti anni dopo nel dialogo con Philip Roth. Nel Lager c’è un altro orologiaio: Ezra, “orologiaio di mestiere, cantore il sabato in un remoto villaggio lituano”. Lo troveremo anni dopo in uno dei racconti di “Lilít e altri racconti”: “Il veterano e il cantore”. E orologiaio è anche Mendel, il protagonista di “Se non ora, quando?”. Di Chajim l’autore di “Se questo è un uomo” non farà altra menzione. Dopo l’aggiunta del 1958, dopo la strisciolina, non c’è più traccia di lui. Ma quarant’anni dopo eccolo invece in un passo de “I sommersi e i salvati”: “È morto Chajim, orologiaio di Cracovia, ebreo pio, che a dispetto delle difficoltà di linguaggio si era sforzato di capirmi e di farsi capire, e di spiegare a me straniero le regole essenziali di sopravvivenza nei primi giorni cruciali di cattività”. Nel 1986 sappiamo che è scomparso; non quando e neppure come. Levi l’include all’inizio dell’elenco dei sommersi nel capitolo “La vergogna”, dove sono presentati seppur brevemente le persone “positive”, i “buoni” del Lager: “i migliori sono morti tutti”. Chajim il generoso, uomo pio e buono, positivo sotto ogni punto di vista, è un sommerso. Quella strisciolina di carta con il nome, il mestiere, la storia di Chajim ha perciò qualcosa di particolare. O forse è così solo ai miei occhi. Non credo. Levi ha voluto ripristinare la vita di un uomo in quelle cinque righe. L’ha fatto con un intento narrativo (chi sarà mai questo Chajim?, si chiede il lettore). Eppure di personaggi ce ne sono altri nel libro, altri di cui sappiamo ben poco. Chajim è il buono per antonomasia. Come Szabó, il taciturno contadino ungherese che aiuta tutti; come Robert, il professore della Sorbona, “che emanava coraggio e fiducia intorno a sé”; come Baruch, lo scaricatore di porto di Livorno, morto il primo giorno, che aveva risposto con un pugno al primo pugno ricevuto. I loro nomi figurano solo qui in I sommersi e i salvati. Salvo Baruch, che compare in un elenco compilato da Levi al ritorno a Torino, e conservato per decenni inedito nell’Archivio ebraico Terracini, sono nominati solo qui. Nessuno di loro è diventato un “personaggio” nei racconti di Levi salvo Chajim, salvato dall’oblio in cinque righe. Personaggio, ma anche persona. Due “identità” di cui Levi non si dimentica, perché oltre che testimone è anche uno scrittore. Scrittore perché testimone. Una doppia intricata identità.

Marco Belpoliti, scrittore

(19 febbraio 2017)