Roma, la grande festa del Pitigliani
“Da 115 anni al lavoro con i giovani”
Un libro ricco di spunti, una mostra fotografica, una serie di emozionanti testimonianze. È stata una giornata davvero speciale per il Centro Ebraico Il Pitigliani, gremitissimo ieri per la presentazione del volume Una storia nel secolo breve in cui si raccontano i primi 70 anni dell’istituto, dal 1902 al 1972. Gli anni in cui il Pitigliani fu un punto di riferimento per la gioventù privata dell’affetto dei propri genitori. Gli anni in cui le vicende del Novecento costrinsero la dirigenza, gli educatori, gli ospiti, a confrontarsi con prove ancora più ardue della già complessa sfida della convivenza tra diversi.
Da orfanotrofio a centro culturale d’eccellenza, un’evoluzione che è stata segnata da un denominatore comune. La sfida educativa, l’attenzione ai giovani.
Temi che ricorrono nelle oltre 700 pagine del libro, che è pubblicato da Giuntina ed è stato curato da Micaela Procaccia insieme ad Angelina Procaccia, Sandra Terracina e Ambra Tedeschi.
“Il senso di dedizione tipico di chi si è ‘pitiglianizzato’ nel corso di questi 115 anni è rimasto immutato, indice di un sentimento profondamente radicato in questa comunità che, secondo me, deve renderci orgogliosi di appartenervi” ha affermato il presidente del Pitigliani, Bruno Sed, aprendo la serata.
“Adesso serve un secondo libro, che racconti questi ultimi 45 anni” ha sottolineato col sorriso il rabbino capo Riccardo Di Segni. Sforzo che si annuncia non irrilevante in ragione del lavoro di tanti anni che ha portato, grazie all’impegno e alla passione della curatrice e delle autrici, a comporre un affresco variegato. Una memoria tangibile, realizzata con tutti i crismi della ricerca storica, ma arricchita anche da un po’ di colore, che è patrimonio non solo della Comunità ebraica romana, ma dell’intero ebraismo italiano.
A condurre la serata, segnata da diversi interventi, lo storico Daniele Fiorentino. A prendere la parola tra gli altri Marco De’ Nicolò, Clotilde Pontecorvo e Alessandro Portelli.
Pubblichiamo l’intervento del presidente Sed:
A nome mio e del Pitigliani desidero ringraziare tutti i presenti per partecipare a questo evento che definirei storico.
In particolare desiderio ringraziare le autrici, gli intervistati, gli intervistatori e la curatrice del libro per il lunghissimo lavoro fatto e per aver prodotto un libro molto bello scritto benissimo.
Un tomo di 700 pagine importantissimo non solo per il Pitigliani ma per tutto l’ebraismo italiano, specialmente quello romano.
Leggendo il libro si scoprono, infatti, tante storie raccontate sia dai cosiddetti “fanciulli ricoverati”, sia dai verbali e dai documenti, che ci riportano a periodi più o meno bui, ma che ci narrano come molte questioni comunitarie di oggi siano invero molte antiche.
Dal caso del “fanciullo” assunto da uno dei consiglieri che lo faceva lavorare di sabato, alle contestazioni per l’intestazione dell’Orfanotrofio ai coniugi Pitigliani a seguito della loro cospicua donazione.
In occasione della presentazione al pubblico di questa opera, il cui valore anche storiografico sarà esposto dagli oratori, vorrei porre l’accento su un paio di aspetti che considero fondamentali, non tanto per il passato quanto per il futuro dell’ente e dei suoi attuali “fanciulli”, perché bisogna ricordare che se non abbiamo più orfani ricoverati nel senso del loro pernottamento, il Pitigliani continua ad occuparsi dell’educazione ebraica di tanti bambini della Comunità.
Il titolo del libro richiama l’opera dello storico Hobsbawm che definisce il ‘900 il secolo più sanguinoso della storia, caratterizzato da due guerre mondiali e da una lunghissima guerra fredda, durante il quale molti nostri fratelli sono stati uccisi dall’odio antisemita.
Accanto ad una ricostruzione storica della vita del Pitigliani legata agli eventi storici, il secolo breve inizia infatti con l’attentato di Sarajevo che dette inizio alla prima guerra mondiale e finisce con la caduta dell’Unione Sovietica, ce ne è una seconda che occorre mettere in risalto, la presenza di fenomeni di lunga durata caratterizzanti la storia dell’Orfanotrofio Pitigliani.
Il primo è senza dubbio che alcuni ebrei della Comunità italiana, ed in particolare di quella romana, hanno sempre preso su di loro la responsabilità di occuparsi degli altri componenti della comunità meno fortunati; possiamo dire che si tratta di solidarietà e altruismo ma senza dubbio applicazione concreta dei principi di Zedakà e della responsabilità della comunità per le sorti di ogni ebreo (Kol Israel arevi zebaze).
Questo impegno è iniziato con i baroni Levi-Poliakoff nel 1902 e con diverse modalità è continuato sino ad oggi, dove il consiglio che mi onoro di presiedere è composto, come dalla fondazione, da undici componenti e cerca di amministrare questo ente nel migliore dei modi, sempre con il medesimo stile e spirito di servizio definito dall’ex presidente Spizzichino proprio con il termine “pitiglianizzarsi”, e cioè capire qual è il massimo che si può dare nei vari momenti storici senza mettere a repentaglio la vita dell’Ente e quindi il futuro dei fanciulli.
E quindi possiamo dire che il senso di dedizione tipico di chi si è “pitiglianizzato” nel corso di questi 115 anni è rimasto immutato, indice di un sentimento profondamente radicato in questa comunità che, secondo me, deve renderci orgogliosi di appartenervi.
Il secondo aspetto del fenomeno di lunga durata è quello dell’educazione in generale ed ebraica in particolare; dalla lettura del libro emerge chiaramente che chi è passato in questo luogo e tra queste mura ha sempre mantenuto un’educazione ed un profondo senso di appartenenza all’ebraismo.
Ad esempio, divertentissime sono le pagine dedicate alla diatribe tra i consiglieri su chi e come dovesse occuparci dell’adeguata celebrazione del Bar Mitzvà dei fanciulli, che comprendeva l’offerta di un pasto più ricco dell’ordinario, dell’abito e di tutti il necessario per far sentire il fanciullo adeguato alla festività.
Un terzo ed ultimo aspetto è sicuramente quello più dolente per il nostro tempo, ed è quello delle donazioni. Da attuale presidente posso affermare che i servizi erogati oggi sono possibili solo grazie alle rendite di proprietà donate prima degli anni ’30, in particolare dai coniugi Pitigliani.
Dalla documentazione dell’epoca emerge che il valore catastale di questi beni nel 1930 era pari a 1.800.000 lire che equivalgono oggi, con la rivalutazione, a 1.657.000,00 euro. Considerando che il valore venale degli immobili è tre-quattro volte di quello catastale, possiamo dire che quella donazione equivarrebbe oggi ad una donazione di circa 7-9.000.000,00 oggi impensabile per la comunità di Roma.
Abbiamo avuto negli anni recenti, donazioni, lasciti ed eredità, ma nessuna di queste tali da cambiare sensibilmente la misura e la qualità dell’offerta educativa.
In altre parole, guardando al futuro, dobbiamo porci il problema, non limitato al solo Pitigliani, del futuro dell’educazione ebraica e non, dei nostri figli, nonché di poter garantire per chi desideri destinare il propio patrimonio a questi fini poter garantire una scelta sicura, solida e duratura nel tempo.
Sicuramente questo libro né è la prova!!
Grazie di cuore a tutti.
Bruno Sed, Presidente Pitigliani
(20 febbraio 2017)