Analisi scorretta – La scissione del Pd

anselmo calòNon occorre essere elettori o iscritti al Partito Democratico per comprendere il pericolo che il quadro istituzionale italiano corre con la scissione che si è consumata nella scorsa settimana in seno a quel partito.
Alcune indagini demoscopiche effettuate nei giorni scorsi indicano che il PD continua ad essere, nonostante queste vicende, il primo partito; anche se, al pari degli altri, sembra non poter certo raggiungere il 40% dei consensi, che gli permetterebbe di governare da solo il Paese. La scissione sembra essere intervenuta proprio per impedire il raggiungimento di questo traguardo. Non che fosse semplice, ma ora è decisamente inarrivabile.
È ormai chiaro, sia che si vada alle elezioni prima o dopo l’estate o il prossimo anno, che si voterà con una legge elettorale proporzionale, ciò riporta le lancette dell’orologio istituzionale al 1992, ultimo anno in cui, alle politiche, si votò il Parlamento con un metodo proporzionale.
I Partiti si presenteranno quindi agli elettori ognuno per conto suo, poi assisteremo ai “balletti” per la formazione di governi di coalizione, con gli incarichi nell’Esecutivo distribuiti col bilancino.
Il PD rappresentava una Diga al “populismo” montante anche nel nostro Paese. Una inspiegabile miopia politica sta distruggendo questa possibilità. Qualche giorno fa Paolo Mieli, in una trasmissione televisiva ha ricordato, che nello scorso secolo le scissioni nella sinistra hanno aperto la porta al fascismo in Germania e in Italia.
Ciò di cui si parla sempre più spesso è una saldatura tra Lega e Movimento 5 stelle, le due forze antisistema per definizione dell’Italia. In un Parlamento a composizione proporzionale la formazione dell’esecutivo diventa l’arte del possibile, e l’alchimia dei numeri può produrre miscele pericolose.
Le elezioni italiane si inquadreranno in una cornice europea poco rassicurante, dopo l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e la elezione di Donald Trump negli Stati Uniti, le prossime elezioni in Olanda e Francia e in autunno in Germania, saranno caratterizzate dalla forte presenza di partiti “sovranisti”, schierati contro l’immigrazione e la globalizzazione e di fatto contro l’Unione Europea.
Se solo uno di questi partiti dovesse vincere le elezioni nel proprio Paese, probabilmente assisteremo alla fine della UE. Se già in Olanda, Wilders dovesse prendere il potere, si potrebbe verificare un “effetto domino” che di sicuro sconvolgerebbe il vecchio continente.
Partiti reazionari sono oggi al potere in Polonia, Repubblica Ceca e Ungheria, ma questi Paesi sono troppo interessati all’Europa per voltargli le spalle, anche se appaiono poco inclini alla disciplina comunitaria; ma se anche Stati fondatori, dovessero chiamarsi fuori, la Comunità Europea al compimento dei suoi 60 anni concluderebbe la sua storia.
Certamente il peso burocratico e tecnocrate di Bruxelles è mal sopportato anche da chi si sente europeista convinto come chi scrive, ma quello che molti non vogliono vedere è il principale bene che la Comunità Europea ci ha donato: la pace. Una pace che, almeno nella parte occidentale del continente, dura dalla fine della seconda guerra mondiale.
La rinascita “sovranista” – ora i nazionalisti definiscono se stessi così – apre per l’Europa scenari vecchi come quelli che lo hanno insanguinato per quasi tutta la sua storia. Pensare che i nostri figli possano essere destinati a rivivere anni bui come quelli dei nostri genitori mette i brividi addosso e ci fa pensare che la nostra generazione forse è stata veramente la più fortunata.
Chi porterà davanti alla Storia la responsabilità di aver creato la scissione e le sue conseguenze?

Anselmo Calò

(27 febbraio 2017)