Oltremare – Carta
Pagine Ebraiche inaugura la campagna abbonamenti nello stesso giorno in cui il nuovo presidente americano fa salire di un tono la sua personale escalation contro parte della stampa americana, annunciando che non andrà alla cena annuale dei giornalisti della Casa Bianca e twittando ulteriori strali contro il solito New York Times, causa di ogni suo male. Per restare nel giardino di casa, di recente il nostro primo ministro ha fatto titoli cubitali per aver, pare, cercato di ammorbidire i toni di Yedioth Ahronoth, che non lo trattava benissimo. Pare. È il giornale più letto nel fine settimana israeliano. Per capire il rito, è simile appunto a quello del Times del weekend: modello bauletto, un mattone di carta viene depositato sullo stuoino al venerdì mattina, e i fortunati finiscono di leggere intorno al mercoledì sera successivo. Noi che lavoriamo, non abbiamo mai raggiunto neanche il 20% della pila di fogli. Ma tant’è, i giornali di carta portano ancora notizie e commenti di un mondo parallelo ai giornali online e alle app che ti scelgono le notizie che vuoi leggere in base ad un algoritmo. Poi a me la carta è sempre piaciuta, e questa è una affermazione per la quale potrei rischiare il patibolo. Con buona pace delle foresta amazzonica, per me un libro resta un oggetto cartaceo che fruscia quando si gira pagina, e ha un odore preciso dato da carta e colla e inchiostro. E un giornale, idem: si sfoglia soffiando in obliquo fra i fogli per dividerli meglio, si divide in parti, si distribuisce secondo preferenze o gerarchie famigliari. Poi ci si può arrabbiare per quel che si trova scritto, si possono scrivere lettere alla redazione, si può discutere su di un articolo fino a notte fonda. Ma tutto parte da inchiostro nero su carta tendente al bianco, dove un refuso non può essere corretto. In un mondo pieno di refusi online corretti al volo, e di leader che temono la stampa che sfugge al loro controllo, la carta dei giornali è ancora un fotogramma della realtà.
Daniela Fubini
(27 febbraio 2017)