Time is on my side?

caloCon una certa inquietudine, abbiamo a più riprese recepito con un brivido lungo la schiena le contestazioni alla legittimità dello Stato di Israele da parte di chi proponeva di mettervi al suo posto uno Stato dove vi fossero insieme arabi ed ebrei. Nulla di male, ci mancherebbe, se non fosse che Israele ha già quasi due milioni di cittadini arabi mentre dall’altra parte sembra che non vogliano fare altrettanto con gli ebrei. Per quello si è sempre – giustamente – insistito nella formula “due Stati per due popoli”, senza badare molto alla verità, perché, invero, si tratta di fare uno Stato per due popoli ed uno Stato per uno solo, in quanto, come detto, in Israele i cittadini arabi ci sono già, e a noi va bene.
Ora, però, si menziona la formula di un solo Stato: ma non era una proposta ostile? Tant’è che basta cercare per qualche attimo nel web per leggere delle dichiarazioni in questo senso: “Molte persone sostengono l’idea”, ha detto Mustafa Barghouti, deputato palestinese ed ex candidato alla presidenza. “Se la soluzione dei due Stati è fisicamente irraggiungibile, abbiamo una sola opzione: Una lotta per ottenere pieni ed uguali diritti democratici in uno Stato, nella terra della Palestina storica”. Giustamente, un deputato arabo della Knesset, Ahmad Tibi. ha chiarito che con quella soluzione lui diventerebbe Primo Ministro, e anche questo sarebbe giusto se non fosse che dall’altra parte una soluzione speculare non sarebbe concepibile. E siccome nella Dichiarazione di indipendenza palestinese del 15 novembre 1988 si chiarisce, tante volte uno non si fosse impegnato nelle buone letture, che il loro è uno Stato arabo, non è difficile ipotizzare che verrebbe a crearsi un altro Stato arabo e nessuno ebraico. Col singolo Stato, stante la natura democratica di Israele, che trova le sue radici nella Torah, la questione non finirebbe con l’unica entità statale, la quale sarebbe soltanto l’inizio di un’avvilente quanto utopistica speculazione demografica.
La globalizzazione, che pure tanta prosperità ha portato, è finita per scontrarsi con le singole realtà nazionali, che si erano volute rimuovere ed esorcizzare. Al bel saggio di Martin Creveld (The rise and decline of the State) è finito per contrapporsi quello, altrettanto stimolante, di Roger Scruton (The need for Nations) e se ne ha prova ora nei travagli dell’Unione europea. Perché creare dei problemi, laddove ci sono delle valide soluzioni?

Emanuele Calò

(28 febbraio 2017)