studio…
“Essi faranno un’arca (Aron) di legno di acacia, la cui lunghezza sarà di due cubiti e mezzo, la larghezza un cubito e mezzo l’altezza di un cubito e mezzo” (Esodo 25,10). L’espressione con la quale il Signore prescrive la costruzione dell’Arca, destinata a contenere le Tavole del Patto su cui erano incisi i Dieci Comandamenti e che quindi rappresenta l’insieme stesso della Torah, differisce dall’ordine dettato per gli altri oggetti sacri del Mishkan. Per tutti gli altri oggetti componenti il Tabernacolo l’ordine è rivolto come un’espressione specifica a Mosè: “Farai una tavola di legno..farai un candelabro d’oro..farai l’altare..” mentre per l’Arca è detto “Faranno”, un’espressione al plurale, che allude a un compito che riguarda tutto il popolo d’Israele: la Torah, rappresentata dall’Arca, non è destinata a rimanere patrimonio esclusivo di una parte specifica del popolo, come i sacerdoti, neppure è circoscritta per una cerchia ristretta di studiosi, essa è rivolta a tutti i figli d’Israele. Lo studio di Torah rappresenta l’unico criterio di distinzione che la tradizione ebraica riconosca come idoneo: “Un ebreo di dubbia origine studioso di Torah ha la precedenza sul sommo sacerdote ignorante” (Mishnà Horayot 3,8). Un’altra particolarità insita nel comando relativo alla costruzione dell’Arca riguarda le misure che, in tutte le sue dimensioni, sono costituite da numeri frazionati “due cubiti e mezzo e un cubito e mezzo”; questa caratteristica esprime simbolicamente la consapevolezza, che sempre deve accompagnare il vero talmid chakham, lo studioso di Torah, che la conoscenza della Torah è sempre incompleta. Nessuno potrà mai dire, al pari di altri studi, in cui “si finisce il liceo, si finisce l’università”; nello studio della Torah ci si trova sui “due cubiti e mezzo”, perché, ovunque si sia giunti nella sua conoscenza, c’è sempre almeno un’altra metà di percorso che rimane da compiere.
Giuseppe Momigliano, rabbino
(1 marzo 2017)