Levi papers – Barbarici latrati
Una nuova frase è inserita nel capitolo “Il viaggio”. Segue quel verbo (“Venne”) che risuona come un colpo di gong; precede: “a un tratto lo scioglimento”. L’intera frase suona così: “Venne a un tratto lo scioglimento”; ed è già un verso. Il sostantivo “scioglimento” contiene una sfumatura tra lo psicologico e il teatrale. Sciogliere cosa? Un nodo. Il nodo è quello dell’arrivo. Cosa li attende ad Auschwitz. Ora si sa. “La portiera fu aperta con fragore”: azione concreta. L’attenzione che Levi pone ai rumori (“fragore”), oltre che ai suoni: “il buio echeggiò di ordini stranieri”. Anche quest’ultimo è un verso, segno dell’attitudine che ha la scrittura di Levi di tendere al poetico quando descrive momenti importanti dell’azione: alza il tono del detto. La poesia compendia; è essenziale, secca, elegante. Nel 1958 introduce sulla edizione De Silva del 1947 una frase nuova, che è diventata famosa e perciò spesso citata: “e di quei barbarici latrati dei tedeschi quando comandano, che sembrano dar vento a una rabbia vecchia di secoli”. Si tratta di una delle espressioni in cui Levi manifesta la propria ostilità verso i tedeschi. Non ha scritto: “barbarici latrati delle SS”. Ma: “dei tedeschi”. Barbarici è un aggettivo impegnativo e insieme pregnante. Scrive: “quando comandano”, che attenua un poco il senso della frase. La parte più forte dell’aggiunta è: “che sembrano dar vento a una rabbia vecchia di secoli”. Anche questo è, a suo modo, un verso. Un’immagine evocativa, che lega insieme “vento” e “rabbia”. Dar vento alla rabbia è una metafora; “vecchia di secoli” è riferita a rabbia: sta lì da secoli. L’aggiunta alla edizione del 1947 è davvero singolare. Non gli basta dire come nel ‘47: “il buio echeggiò di ordini stranieri”, che è già una frase forte. Vuole specificare qualcosa riguarda quei suoni. Lo fa diversi anni dopo. I tedeschi latrano, come se fossero cani. Non abbaiano, ma proprio “latrano”. Viene da Dante: Inferno, VI, 14. Cerbero che “caninamente latra”. Dante usa poco più avanti il verbo “abbaiare”: “ch’abbaiando agogna” (v. 28). Tuttavia Levi preferisce l’altro verbo. I tedeschi sono cani, e perciò latrano. Il cane è un animale ben presente nelle opere di Levi. Per lo più negativo, salvo in un caso, quando, recensendo la traduzione di Gianni Celati a Il richiamo della foresta uscita da Einaudi, l’ex deportato paragona il cane ai prigionieri del Lager attraverso un riferimento a La giornata di Ivan Denisovic di Solzenicyn, cioè a se stesso. La figura del cane è identificata con quella dei carcerieri, con le SS. Compare anche nel capitolo intitolato “Una buona giornata”. Qui Levi evidenzia la differenza tra il tedesco “essen” e “fressen; il secondo verbo indica il mangiare degli animali. Si tratta della animalizzazione prodotta dal Campo. Nel 1964, quando realizza la sceneggiatura della versione radiofonica di Se questo è un uomo si ricorderà di quell’aggiunta, e così farà anche nel 1966 per la versione teatrale scritta con Pieralberto Marché. Da quel momento la voce dei tedeschi, la loro rabbia è un latrato, che come suggeriscono i dizionari etimologici ha la stessa radice indoeuropea di gridare: “l’abbaiare intenso e prolungato del cane”.
Marco Belpoliti, scrittore
(5 marzo 2017)