Analisi scorretta
Le idee di Lieberman
Il Ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman ha rilasciato una interessante intervista al quotidiano tedesco Die Welt che non ha ricevuto a nostro avviso l’attenzione che merita, perché dice cose importanti su come un nuovo modo di avvicinarsi al conflitto arabo-israeliano possa indicare soluzioni finora non immaginate.
“È tempo di dare vita ufficialmente ad una coalizione, a un’unione di tutte le forze moderate del Vicino Oriente – non importa se musulmani, ebrei o cristiani – contro il terrorismo”. Questa dichiarazione è stata letta come la positiva risposta israeliana all’apertura del Ministro degli Esteri saudita Adel Al-Jubayr per una collaborazione comune contro il pericolo iraniano.
Lieberman ha anche affermato che per un dialogo costruttivo tra Israele e i Paesi Arabi sunniti, non è necessaria nessuna mediazione, tantomeno europea. Un modo indiretto per confermare che i rapporti sono già avviati e si vanno consolidando. Naturalmente la collaborazione è nata per fronteggiare la comune minaccia persiana, ma ovviamente queste amicizie potranno essere spese anche per riavviare il processo di Pace coi Palestinesi. “Il coinvolgimento europeo e internazionale nel conflitto con i Palestinesi è stato controproducente – ha sostenuto il Ministro – hanno preso una posizione unilaterale a favore dei Palestinesi”. La pressione che Arabia Saudita, Egitto e Giordania potranno esercitare sui Palestinesi per favorire un’intesa con gli israeliani è evidente. Si apre quindi una nuova stagione nel conflitto tra Israele e i suoi vicini.
Molto interessanti le posizioni espresse da Lieberman anche per quanto riguarda la sistemazione definitiva della Regione. La soluzione dei due Stati, così come è stata affrontata finora – ha sostenuto il Ministro israeliano – non funziona, perchè “creerebbe una situazione anomala da un lato uno Stato Palestinese omogeneo nel quale in pratica non vive nessun ebreo, invece Israele rimarrebbe uno Stato bi-nazionale con una minoranza araba del 20%”. Si deve poter scambiare la terra e le popolazioni – ha detto Lieberman – “non si sposterebbero le persone, ma i confini; gli arabi che vivono in Israele potrebbero rimanere nei loro villaggi e nelle loro case. Questo avrebbe molto più senso che tornare ai confini della Guerra dei sei giorni del 1967”.
Il punto di vista di Lieberman è molto efficace, non una deportazione di arabi per salvaguardare il carattere ebraico e democratico d’Israele, ma un aggiustamento dei confini seguendo il principio della popolazione. Questo principio fu seguito da parte israeliana sin dal 1948. I confini precedenti al 1967, cioè quelli dell’armistizio del 1949, erano le linee dove le truppe del neonato Stato Ebraico si erano attestati, per non annettere territori densamente popolati dagli arabi. Tuttavia ci sono ancora alcune zone lungo la linea verde abitate quasi esclusivamente da arabi che potrebbero essere trasferiti alla sovranità palestinese in cambio di territori occupati da Israele con la guerra del ’67 e oggi abitati prevalentemente dalla popolazione ebraica .
Questo approccio non riuscirebbe a risolvere l’intera problematica, la Galilea centrale è ampiamente abitata da arabi e il trasferimento di questi territori alla sovranità Palestinese appare impossibile. Ma un’altra soluzione istituzionale potrebbe essere studiata da integrare con la proposta del Ministro. Esistono studi che immaginano che ciascun abitante possa legarsi non allo Stato a cui appartiene il territorio in cui abita, ma allo Stato a cui si è etnicamente appartenenti. Ciò renderebbe possibile agli arabi di Galilea di essere abitanti di Israele ma cittadini dello Stato Palestinese e agli ebrei insediati all’interno dello Stato Palestinese di essere cittadini israeliani. In questo quadro l’autonomia delle amministrazioni dei villaggi e delle cittadine dallo Stato in cui sono inserite dovrebbe essere naturalmente molto elevata.
Se è vero che si va disegnando un nuovo Medio Oriente che superi gli accordi Sykes-Picot, allora è tempo di ragionare in maniera nuova per la sua pacificazione. Quello che serve di più, però, è che ciascuna parte abbia coscienza e consapevolezza che ci sono pieni diritti nazionali di entrambi i popoli da rispettare .
Anselmo Calò
(6 marzo 2017)