Matrimoni omosessuali
in Italia e in Israele

emanueleLa legge e la giurisprudenza israeliane hanno applicato ai “reputed spouses” (presunti coniugi) un trattamento analogo o simile a quello praticato ai coniugi. Tali ‘reputed spouses’ (fra i quali vi sono i matrimoni omosessuali) non godono di uno statuto come quello matrimoniale, però si applicherebbero loro delle regole contrattuali. I matrimoni fra persone dello stesso sesso possono essere inserite nel Registro della Popolazione a stregua di matrimoni. Vi sono, di conseguenza, anche dei criteri di collegamento applicabili a dette coppie nell’ambito delle norme di conflitto anche nel caso delle c.d. unioni registrate (Talia Einhorn, International Encyclopaedia of laws, Private International Law, Supplement 35, Israel). Da noi, in seguito alla Legge 20 maggio 2016, n. 76 ed al Decreto Legislativo 19 gennaio 2017, n. 7, sono stati posti in essere due moduli familiari: a) le unioni civili fra persone dello stesso sesso, che sono un matrimonio omosessuale sotto altro nome e b) le c.d. convivenze di fatto eterosessuali oppure omosessuali, su base (scivolosamente) anagrafica, corredate o meno da un contratto di convivenza.
La legge 76/2016 – con una previsione alla quale non ero del tutto estraneo – disponeva che i matrimoni omosessuali stranieri sarebbero stati qualificati in Italia come unioni civili. Sennonché, per via di un eccesso di delega, il suddetto d.lgs. 7/2017 ha qualificato come unioni civili i soli matrimoni omosessuali stranieri dove almeno uno dei coniugi fosse italiano, lasciando fuori tutti i matrimoni omosessuali celebrati all’estero dove non vi fossero degli italiani. Dai lavori legislativi, è emersa netta l’intenzione di riconoscere i matrimoni omossessuali stranieri dove nessuno dei coniugi fosse italiano. La situazione somiglierebbe a quella israeliana (abbiamo assistito ad una relazione sul riconoscimento del matrimonio omosessuale in Israele al convegno dell’Università di Milano del 2 Ottobre 2015) se non fosse per l’esclusione dei cittadini italiani. Una discriminazione che potrebbe concludersi col riconoscimento tout court dei matrimoni omosessuali in Italia, quale che sia la cittadinanza dei coniugi, addivenendo quindi a qualche cosa di non molto diverso da quanto si è raggiunto in Israele. Sarebbe la fine delle unioni civili? In ogni caso, la loro fine o, se si vuole, la loro parziale trasformazione sarebbe segnata dall’applicazione del Regolamento (UE) 2016/1104 del Consiglio del 24 giugno 2016 che attua la cooperazione rafforzata nel settore della competenza, della legge applicabile, del riconoscimento e dell’esecuzione delle decisioni in materia di effetti patrimoniali delle unioni registrate. Certamente, la legislazione italiana su unioni civili e convivenze aveva ed ha molte carenze e, nel caso delle convivenze, contrasta col diritto dell’Unione Europea e finanche, per certi versi, con la libertà individuale. Tuttavia, è sempre migliore dell’immobilismo che attanaglia il nostro Paese, talvolta avviato ad una decrescita che necessita di essere qualificata come felice solo per tirar su il morale, argomento sul quale ci ripromettiamo di tornare.

Emanuele Calò, giurista

(7 marzo 2017)