MEMORIA Gli anni bui del Sudtirolo
Joachim Innerhofer e Sabine Mayr / QUANDO LA PATRIA UCCIDE / Raetia
Ruth Eckstein, Ilse Eckstein, Adalgisa Ascoli, Isidor Schlaf, Anna Blums, Riccardo Luzzato, Alfred Bermann, John Gittermann, Alfred Russo, Malwine Lehmann, Clemens Fraenkel, Alfred Gruen, Charlotte Landau, Felicitas Landau sono soltanto alcuni degli ebrei residenti in Alto Adige vittime della Shoah. La lunga lista, con la storia di ciascuno di loro, l’hanno ricostruita la storica Sabine Mayr e il giornalista, oggi direttore del Museo ebraico di Merano, Joachim Innerhofer, entrambi sudtirolesi; ne è risultato un volume di impressionanti dimensioni, ora tradotto in italiano (da Antonella Tiburzi) con il titolo Quando la patria uccide (Raetia).
È uno Spoon River, un immaginario cimitero dove giacciono circa 150 morti assassinati — tanti sono quelli dei quali gli autori sono riusciti a rintracciare la vicenda — intere famiglie cancellate o parti di esse, uomini e donne di tutte le età, bambini compresi: per ciascuno c’è una data di nascita, non sempre quella della morte e, quando c’è, segna per lo più l’anno 1943 o il 1944. Erano commercianti, avvocati, medici, imprenditori, industriali, albergatori, farmacisti, cantanti, attori, giornalisti, ma anche impiegati, sarti, infermiere, commesse. Molti immigrati negli anni Venti e Trenta da Austria, Germania e Cecoslovacchia, quando in quei Paesi l’atmosfera per i cittadini ebrei aveva cominciato a farsi pesante e l’Italia, quell’Italia dove, oltretutto, si parlava tedesco, sembrava un luogo attraente, ancora sicuro; molti altri lì radicati da tempo e perfettamente integrati, parte della classe dirigente, residenti per lo più tra Bolzano e Merano.
Del resto il Sudtirolo, per la sua bellezza, per il suo clima, era sempre stato destinazione non soltanto di vacanze, ma anche di lunghi soggiorni per illustri turisti austriaci e tedeschi di origine ebraica: si pensi a Sigmund Freud, a Stefan Zweig, a Franz Kafka, alle famiglie Hofmannsthal, Rothschild e Bloch Bauer (Adele BB fu ritratta da Klimt nel famoso quadro rubato dai nazisti che lo Stato austriaco ha dovuto recentemente restituire agli eredi della gran dama viennese).
Una meta quasi ovvia era, dunque, il Sudtirolo per gli ebrei della Mitteleuropa. E questo nonostante l’antisemitismo serpeggiasse da secoli tra le popolazioni locali. Basti pensare, per esempio, che nel XIV e XV secolo è attestato un insediamento di ebrei a Bolzano prima che scomparisse poco dopo «sotto la pressione di condizioni intollerabili», come scriveva a suo tempo lo storico Aron Taenzer. Ma ancora prima un’invasione di cavallette, un forte terremoto e la peste del 1348 portarono a massacri di ebrei, accusati di aver avvelenato le fontane per sterminare le popolazioni cristiane. Gli episodi di violenza si susseguirono nei secoli secondo lo stesso, ben noto schema: s’invocava, come pretesto delle violenze, la difesa della vera religione, ma, in realtà, ammazzare i prestatori di danaro era il metodo più efficace per cancellare il debito. E per impadronirsi di terreni, case, negozi, imprese.
Nel secolo scorso gli ebrei altoatesini furono vittime sia del nazismo sia del fascismo. Le leggi razziali del 1938 tolsero loro i diritti e spesso anche la cittadinanza italiana, che fino allora li aveva in qualche modo protetti; e l’8 settembre del 1943, con la trasformazione della regione in Zona operazione Prealpi — in sostanza un’annessione alla Germania — segnò per loro il compimento della tragedia. Le tappe dei sommersi furono il tristemente noto lager di Bolzano, il campo di raccolta di Fossoli e poi Auschwitz, la destinazione finale.
Gli autori hanno rintracciato eredi, intervistato parenti, raccolto testimonianze, ricostruito storie. Ne esce il quadro di un vasto gruppo di cittadini colti, cosmopoliti, intraprendenti, che avevano notevolmente contribuito alla prosperità della zona, estirpati, eliminati, cancellati dalla terra che pensavano fosse heimat, cioè patria, casa, riparato paese natio.
Isabella Bossi Fedrigotti, Corriere della Sera, 3 marzo 2017