Periscopio – I falsi amici
Non c’è dubbio che la solitudine, accanto a malattia, vecchiaia, povertà, rappresenti, in questo mondo, una delle principali fonti di dolore e amarezza. E se chi è malato, vecchio, povero, può almeno sperare di avere da qualcuno una parola di consolazione, chi è solo non ha neanche quello.
A ben vedere, credo che ci siano due tipi diversi di solitudine: quella di chi non ha proprio nessuno vicino, e quella di chi ha intorno solo falsi amici, che, dicendo di volere il suo bene, vogliono invece il suo male. E credo che il secondo tipo sia peggiore. E credo, infine, che di solitudine possano soffrire non solo le singole persone, ma anche le collettività.
Mi pare che ne soffra, infatti, e da molti anni, Napoli, la mia città. Solitudine del secondo tipo, certamente, perché c’è sempre molta gente che mostra di interessarsene, di proteggerla e di prendersene cura. Un sacco di amici. Di falsi amici.
Se ne è avuta una riprova lampante sabato scorso, quando la sventurata metropoli è stata fatta oggetto dell’attenzione di tutto il mondo per la sollecitudine di tre distinti gruppi di soggetti, tutti presentatisi come suoi sinceri amici: alcuni politici del nord, che, dopo avere detto, per anni, che i napoletani puzzano e portano il colera, hanno deciso di fare proprio in questa città una manifestazione pubblica, per proporre la loro idea di rinascita del Mezzogiorno (nel compiacimento di non pochi napoletani, evidentemente convinti che, quando parlavano di colerosi puzzolenti, i politici del nord non ce l’avessero con loro; va da sé che, per un napoletano con un briciolo di dignità e di buon senso, di fronte alla visita non gradita ci sarebbe stata una sola cosa da fare, ossia stare a debita distanza dal luogo del comizio; ma così, come si dice a Napoli, “non c’è sfizio”); alcuni giovanotti del sud, di poche letture ma dalle chiare idee (quanto meno si legge, più si hanno le idee chiare, è evidente), che, annoiati da troppo tempo, hanno colto al balzo la ghiotta occasione per sfasciare vetrine e parabrezza e picchiare qualche poliziotto, in nome della Resistenza (e così sì che “c’è sfizio”); alcuni uomini delle Istituzioni locali, noti per il dichiarato diuturno zelo nella custodia della Costituzione, che, in un eccesso di amore, ne hanno addirittura proposto e applicato una versione novellata, secondo la quale, a Napoli, può parlare solo chi dicono loro. Tre gruppi, a mio avviso, molto meno diversi, tra loro, di quanto vogliano fare credere; direi, anzi, che sono proprio uguali: tutti felici di essere sotto i riflettori, di ricordare al mondo che esistono (mentre noi ci sforzavamo di dimenticarcene); tutti accomunati nel dire che amano Napoli; tutti insieme nel dileggiarla, usandola, per i propri comodi, come uno zerbino.
Stretta nell’abbraccio mortale, la città si è chiusa, ancora di più, nella sua antica, amara solitudine. C’è forse qualcuno che voglia aiutarla, rincuorarla, starle un po’ vicino? Esserle un po’ amico, ma sul serio? Se c’è, batta un colpo. Raccomanderei una sola cosa: di non dire che è bella, e che la si ama. La Signora è sola, ma non è cretina, alle prese per i fondelli è abituata da millenni.
Francesco Lucrezi, storico