precetti…
Il prossimo shabbat prende il nome da uno dei precetti della Torah di più ardua comprensione, si tratta del comandamento definito “ parà adumà” ovvero “la vacca rossa”, una mucca dal pelo rossastro con le cui ceneri – nel tempo in cui esisteva il santuario – si compivano alcune procedure rituali, indispensabili per ripristinare la condizione di purità prescritta per l’accesso ai luoghi sacri e per l’adempimento delle offerte e dei riti sacrificali. Il passo biblico che parla di questo precetto viene letto in Sinagoga circa un mese prima di Pesach, per ricordare i preparativi che venivano seguiti al fine di acquisire la condizione di purità e poter adempiere al rito del sacrificio dell’agnello pasquale, in ricordo della liberazione dei figli d’Israele dalla schiavitù in Egitto.
Per la sua stessa natura e per i particolari della procedura di esecuzione, il precetto della “vacca rossa” è considerato il più evidente esempio dei “chukkim”, i comandamenti della Torah per i quali risulta particolarmente arduo trovare una spiegazione razionale, che rappresentano quindi più fortemente il legame di fede con il Signore. Questa prescrizione è però singolarmente collegata, in un episodio narrato in diversi testi del Talmud e del Midrash, ad un comandamento di tutt’altra natura, si tratta del precetto di onorare i genitori. A questo proposito si narra di un maestro – Rav Ullà – che, ad alcuni allievi che gli chiedevano se mai esistesse un limite da porre rispetto al dovere di onore i genitori, rispose citando il comportamento esemplare di un gentile di nome Damà ben Netinà. Si narra dunque che questo personaggio possedesse dei gioielli di grande valore, uno dei quali gli fu richiesto da una delegazione ebraica che lo ricercava per completare la dotazione delle pietre preziose prescritte dalla Torah per il pettorale del sommo sacerdote. Damà stava già disponendosi alla vendita, da cui avrebbe potuto ricavare un ricco guadagno, quando si accorse che le chiavi della cassaforte in cui la pietra era custodita, si trovavano sotto il guanciale del padre addormentato, non volle quindi turbare il sonno del padre e rifiutò categoricamente di procedere, malgrado gli venissero via via offerte cifre maggiori per l’acquisto così importante. Il racconto prosegue affermando che per questo comportamento così rispettoso verso il genitore, Damà venne ricompensato, infatti tra gli animali di sua proprietà nacque una mucca dal pelo rossastro, del tipo necessario all’adempimento del rituale di purificazione, estremamente rara a trovarsi, che gli fu quindi acquistata con ampio compenso da un’altra delegazione dei sacerdoti. L’episodio è narrato con alcune varianti in diverse fonti, in una di queste si aggiunge che la devozione di questo Damà per il genitore era tanto grande che, alla sua morte, finì per trasformarsi in vero e proprio culto con il quale il figlio venerava, in senso letterale, oggetti che gli ricordavano il padre. Il collegamento che l’aneddoto stabilisce tra precetti così diversi – le norme rituali di purificazione e l’onore per i genitori – ci ricorda che, nel loro insieme, tutti i comandamenti della Torah costituiscono un complesso ampio, e dettagliato, nel quale una parte riguarda il comportamento degli uomini verso gli altri e un’altra il legame con il Signore, soltanto considerandoli tutti nella loro interezza e nel loro carattere inscindibile è possibile formare l’edificio, l’uomo, il popolo che la Torah auspica. Perché non avvenga una grave confusione di valori e di comportamenti dei due campi – come adombra il nostro racconto – che si sia, ad esempio, animati da sacro fervore religioso, se si tratta di pagare un tesoro per le pietre del sacerdote, ma ci si chieda quanto occorra spendere per onorare i genitori e d’altra parte la devozione per il padre, in vita e in morte, non ci induca a trasformare il suo ricordo in un insensato culto idolatra.
Giuseppe Momigliano, rabbino
(15 marzo 2017)