Ticketless – L’urlo di Gegio
Questa settimana segnalo il saggio che Marcella Ravenna ha dedicato a suo padre Eugenio (Gegio) Ravenna (qui il link per poterlo scaricare).
Non è la prima volta che segnalo lavori pubblicati da questo interessante e vivacissimo sito di studi storici.
Gegio è, per evidente assonanza, Geo, protagonista del racconto di Bassani, “Una lapide di via Mazzini”. L’uomo il cui urlo “furibondo e disumano” da essere udito con “orrore” fino oltre le mura della città, ha come modello Zeno e l’esplosione cosmica del finale della Coscienza di Zeno. Non è stato ancora indagato come si deve il debito di Bassani con Svevo e quanto vi sia di Angiolina, ad esempio, nella joie de vivre di Micòl. Il saggio di Marcella Ravenna ripropone il tema, centrale nello studio dello “scrivere su Auschwitz”, del rapporto fra vero e verosimile, fra personaggio e uomo. Non vi è scrittore che abbia saputo sottrarsi. Primo Levi, dopo aver tratteggiato il picaresco Cesare della Tregua ebbe guai seri con il personaggio-uomo, che intendeva addirittura trascinare in tribunale lo scrittore. Lo stesso dicasi delle donne del popolo nel ghetto romano descritto da Morante ne La storia.
Se il racconto – scrive la figlia – “coglie con raffinatezza lo spirito del tempo che contraddistinse il ritorno alla vita di numerosi ebrei italiani, nonché la tormentata uscita da anni di immersione nella cultura fascista, colpiscono i molteplici riferimenti per lo più impietosi alle caratteristiche personali di Geo che vanno, come vedremo fra breve, dall’esibizionismo, all’incoerenza, alla bizzarria”. Ampio spazio è per esempio accordato all’aspetto fisico: cosicché, se all’inizio si tratta di un “uomo di età indefinibile, grasso […], con un kolbak di pelo d’agnello sul capo rapato, e rivestito di una sorta di campionario di tutte le divise militari cognite e incognite”, successivamente appare sempre più magro e con indosso un “impeccabile abito borghese di gabardine color oliva”, per poi ripresentarsi di nuovo come una “figura via via più lacera e desolata”, “come un pezzente, con la nuca rapata degli ergastolani”.
Denominatore comune la fatale passione per il tennis. Riguardo al suo carattere “è raffigurato come insofferente verso tutto ciò che sottolinea il passaggio del tempo; più orientato a rievocare il passato che a proiettarsi nella nuova epoca come testimonia il desiderio espresso di tornare ragazzo. Capita che egli racconti, in un modo che appare agli interlocutori “eccessivo”, dei suoi cari uccisi, che ne mostri le fotografie e addirittura ne tappezzi le pareti della propria stanza. In complesso è definito un individuo bizzarro, indecifrabile come una specie di enigma vivente, la cui presenza, se all’inizio suscita curiosità, gradualmente provoca un sempre più diffuso disagio fino a che tutti finiscono con l’evitarlo come la peste”. La descrizione che Bassani fa di Geo si concentra dunque “su aspetti discutibili dell’appearance, del carattere e delle condotte favorendo inoltre l’impressione che l’esperienza compiuta nel lager abbia reso il protagonista in qualche misura meno umano”. Il ritratto fornito dalla figlia nel saggio, corredato da alcune fotografie notevoli e arricchito di non poche testimonianze inedite, diverge dal ritratto dello scrittore ferrarese e sarà per gli studiosi una piccola-grande scoperta. Un testo destinato a diventare un piccolo classico nella bibliografia bassaniana.
Alberto Cavaglion
(15 marzo 2017)