Shir Shishi – Nell’alba azzurra
Ogni bambino in Israele, almeno fino a vent’anni fa, conosceva e canticchiava la canzone: “Aprite il cancello, apritelo tanto, da lì passerà una catena d’oro, con mamma e papà, fratello e sorella […] Sposo e sposa su un calesse leggero, nipoti e cugini ecc. ecc. Poi tutti i parenti gusteranno miele e mele su piattini d’oro”. Era questo il sogno dei poveri bambini affamati della Varsavia ebraica e dei loro genitori, venditori di aringhe maleodoranti e calzolai vagabondi, con mogli lavandaie che stiravano per i balebait, i ricchi e i potenti del quartiere.
Le poesie di Kadye Molodowsky (1894-1975), Kadia in Israele, sono state tradotte in ebraico dai miglior poeti dell’epoca come Shlonski, Alterman e Goldberg e tutti avevano l’impressione che fossero state scritte originariamente in ebraico. E invece la grande poetessa yiddishista, non abbandonò mai la sua lingua, non si adattò alla condizione di sradicata in Israele e divenne parte della realtà ebraica di New York. Kadye è stata una donna del suo tempo, coinvolta nel campo educativo, difensore dell’identità femminile, attivista politica e ha vinto diversi premi tra cui il premio Itsik Manger, 1971. Tra poco uscirà in Italia un volume con le sue liriche tradotte in italiano, “Sono una vagabonda”, a cura di Alessandra Cambatzu e Sigrid Shon.
Il cielo si sta già levando.
Il cielo si sta già facendo azzurro, i galli stanno già cantando,
Il mio letto è un fiore bianco e blu e io sono sopra,
Come la rugiada appena caduta.
Il respiro è ancora caldo,
il corpo ancora stanco,
un pezzetto del mio ultimo sogno sta ancora fluttuando,
tolgo dalle labbra il calore della notte,
una preghiera pura mi ha portato il giorno.
Traduzione dallo yiddish di Alessandra Cambatzu.
Sarah Kaminski, Università di Torino