Società – La rete e il rischio delle risposte false

googleAlcune settimane fa, Peter Shulman, docente di storia alla Case Western Reserve University dell’Ohio, stava tenendo una lezione sulla popolarità del Ku Klux Klan negli anni Venti, quando uno studente lo interruppe con una domanda inaspettata, chiedendogli se il presidente degli Stati Uniti Warren Harding, alla guida del paese dal 1921 al 1923, fosse stato membro della tristemente nota società segreta e razzista. Davanti alla perplessità di Shulman, che spiegava come la cosa fosse improbabile, dato che Harding si era espresso a favore della legislazione anti-linciaggio, un altro studente armato di telefonino rispondeva che sì il presidente aveva fatto parte del KKK: a confermarlo era la risposta fornita alla domanda da Google. Una risposta falsa.
A raccontare l’aneddoto, il portale The Outline, lanciato alla fine del 2016 dal giornalista Joshua Topolsky, in precedenza caporedattore a Bloomberg, con un articolo che denuncia come le fake news, notizie false pubblicate da sedicenti siti di informazione, arrivino a inquinare direttamente anche i contenuti proposti dal colosso del web, che si potrebbe essere portati a ritenere una garanzia di affidabilità.
“Nel corso della maggior parte della sua storia, Google non rispondeva a domande. Gli utenti digitavano ciò che stavano cercando e ricevevano una lista di pagine web che potessero contenere
l’informazione desiderata – si legge nell’approfondimento di Adrianne Jeffries – Da tempo però Google ha riconosciuto che molti non vogliono uno strumento di ricerca, ma solo una risposta veloce. Così, negli ultimi cinque anni, la società si è mossa nella direzione di fornire risposte dirette alle domande, insieme alla tradizionale lista di siti internet”. Così se si cerca la data di una ricorrenza, oppure una ricetta culinaria, Google le fornisce direttamente, e l’utente non deve proseguire con la navigazione. Il problema è che l’algoritmo che sintetizza le risposte lo fa talvolta basandosi su articoli falsi. Con il rischio di prendere delle cantonate clamorose, come nel caso di Harding, quando non addirittura sfociare nell’insulto inaccettabile, secondo quanto denunciato per esempio dal Guardian in dicembre: digitando “are woman evil?” – le donne sono malvage? – veniva spiegato che “in tutte le donne esiste una certa dose di prostituta” e “un po’ di malvagità”. Il caso ha costretto il motore di ricerca a scusarsi e a correggere manualmente il pasticcio.
Una soluzione che però può a stento funzionare per le centinaia di migliaia di possibili risposte fuorvianti che stando così le cose possono essere generate. Il caso Harding ha fornito al professor Shulman una bella occasione per una lezione di educazione civica 2.0, e per spiegare ai suoi studenti come e con che cautele utilizzare la rete. Il problema sono i miliardi di persone fuori dalla sua classe. Che all’occorrenza, continueranno a coltivare nei confronti delle risposte fornite da Google una fiducia incondizionata.

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