“Europa, la nostra casa comune”
“L’integrazione europea rappresenta tuttora il progetto politico più avanzato e sofisticato dal secondo dopoguerra ad oggi. Un progetto ispirato dagli ideali del Manifesto di Ventotene, elaborato nel 1941 mentre la guerra era in corso, e dalla lungimiranza dei Padri fondatori. Un progetto che ha garantito non soltanto la pace ma ha posto anche le condizioni per promuovere lo sviluppo economico dei nostri Paesi”.
La presidente della Camera dei deputati Laura Boldrini apre con un fermo richiamo ai valori dell’unità europea la prima giornata ufficiale di celebrazioni del 60esimo anniversario dei Trattati di Roma. Tra Palazzo Montecitorio e Palazzo Madama, un’intensa giornata che vede protagonisti diversi capi di Stato e importanti nomi della politica italiana e internazionale. Insieme, per affermare la centralità di un progetto e di una sfida comune.
“Si sta creando – ha sottolineato Boldrini – una vera e propria letteratura antieuropeista alimentata da forze populiste e xenofobe che hanno come obiettivo quello di minare il progetto europeo. In alcuni dei nostri Paesi, in vista di prossime scadenze elettorali, viene esplicitamente evocata – per guadagnare consensi – la prospettiva di una fuoriuscita dall’euro o addirittura dall’Unione europea. Lo dico con chiarezza: queste posizioni non sono lungimiranti perché alimentano la disaffezione dei cittadini nei confronti dell’Europa senza prospettare soluzioni alternative realmente praticabili. Spetta a chi come noi riveste cariche istituzionali testimoniare concretamente il valore dell’integrazione europea”.
I lavori del pomeriggio al Senato, cui è stata invitata ad assistere anche la Presidente UCEI Noemi Di Segni, si apriranno con un saluto del presidente Pietro Grasso. Interverranno quindi Antonio Tajani, Presidente del Parlamento europeo; Donald Tusk, Presidente del Consiglio europeo; Frans Timmermans, Vice Presidente della Commissione europea; il senatore a vita e Presidente emerito della Repubblica Giorgio Napolitano; il senatore a vita, già Presidente del Consiglio e Commissario europeo, Mario Monti; l’ideatrice del Programma Erasmus Sofia Corradi. L’intervento conclusivo sarà tenuto dal Presidente del Consiglio dei Ministri, Paolo Gentiloni.
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Di seguito il testo dell’intervento della Presidente Boldrini:
“Signori e signore Presidenti, gentili relatori e relatrici, cari ragazzi e care ragazze, è per me un grande piacere e un onore ospitarvi, insieme al Presidente del Senato, Pietro Grasso, per questa Conferenza organizzata in occasione del 60° anniversario dei trattati di Roma.
Abbiamo ritenuto doveroso promuovere questa iniziativa che non intende limitarsi ad una mera celebrazione ma vuole offrire un’occasione per un dibattito aperto e franco sia sui traguardi raggiunti sia sulle prospettive future dell’integrazione europea.
Con la firma dei Trattati di Roma si voltò definitivamente pagina rispetto alle drammatiche conseguenze della seconda guerra mondiale e si avviò il nostro cammino comune.
L’integrazione europea rappresenta tuttora il progetto politico più avanzato e sofisticato dal secondo dopoguerra ad oggi. Un progetto ispirato dagli ideali del Manifesto di Ventotene – elaborato nel 1941 mentre la guerra era in corso – e dalla lungimiranza dei Padri fondatori.
Un progetto che ha garantito non soltanto la pace ma ha posto anche le condizioni per promuovere lo sviluppo economico dei nostri Paesi.
Ha posto le condizioni per garantire la libertà di movimento e per consentire ai nostri popoli di conoscersi sempre più intensamente. Ha soprattutto consentito all’Europa di divenire un modello insuperato per quanto riguarda il rispetto e la salvaguardia della dignità delle persone, dei loro diritti fondamentali, della democrazia e dello Stato di diritto.
Dobbiamo essere consapevoli – e orgogliosi – che la storia dell’integrazione europea è davvero un’avventura straordinaria! E dobbiamo adoperarci perché orgoglio e consapevolezza siano diffusi tra i nostri cittadini.
L’Europa, infatti, è troppo spesso percepita e descritta come un fattore negativo, il capro espiatorio cui vengono addebitate molte delle difficoltà che i nostri cittadini vivono. Si sta creando una vera e propria letteratura antieuropeista alimentata da forze populiste e xenofobe che hanno come obiettivo quello di minare il progetto europeo. In alcuni dei nostri Paesi, in vista di prossime scadenze elettorali, viene esplicitamente evocata – per guadagnare consensi – la prospettiva di una fuoriuscita dall’euro o addirittura dall’Unione europea. Lo dico con chiarezza: queste posizioni non sono lungimiranti perché alimentano la disaffezione dei cittadini nei confronti dell’Europa senza prospettare soluzioni alternative realmente praticabili. Spetta a chi come noi riveste cariche istituzionali testimoniare concretamente il valore dell’integrazione europea.
Spetta a noi contrastare chi ne svilisce l’importanza e ricordare ai cittadini, soprattutto ai più giovani, che i progressi compiuti in questi sessant’anni non sono piovuti dal cielo ma rappresentano il risultato di lunghe battaglie condotte con generosità e passione. Per questo motivo ho ritenuto doveroso promuovere una ripresa del confronto sui temi dell’integrazione europea. Con questo spirito il 14 settembre 2015 abbiamo firmato qui alla Camera, insieme ai Presidenti del Bundestag, Norbert Lammert, dell’Assemblea nazionale francese, Claude Bartolone, e della Camera dei deputati lussemburghese, Mars Di Bartolomeo, la Dichiarazione “Più integrazione europea: la strada da percorrere”, successivamente sottoscritta da altri 11 Presidenti di Camere o Parlamenti nazionali, che desidero in questa occasione ringraziare sentitamente. Sono convinta infatti che la discussione sul futuro del nostro Continente debba svolgersi in primo luogo nelle aule parlamentari, perché i Parlamenti, nelle democrazie odierne, costituiscono la sede più alta del dibattito politico.
Allo stesso tempo, questo confronto deve coinvolgere il più possibile i cittadini, per ricostruire un legame più forte e un dialogo più intenso fra essi e le Istituzioni. Con questo obiettivo ho promosso lo scorso anno una consultazione pubblica on line che ha dato ai cittadini e alle cittadine la possibilità di esprimere la loro opinione sull’Europa, su quello che non va e su come la vorrebbero. Gli esiti della consultazione sono stati analizzati da un Comitato di saggi da me appositamente costituito, i cui componenti, che saluto, sono oggi presenti in quest’aula. Sottopongo alla vostra attenzione la relazione finale del Comitato che individua benefici e criticità del processo di integrazione e suggerisce soluzioni concrete per superarle.
Oggi più che mai, in questa sede, abbiamo anche il dovere di interrogarci sulle ragioni per le quali il progetto europeista sta progressivamente perdendo la sua spinta propulsiva. Bisogna prendere atto che, nonostante i traguardi raggiunti, l’Europa attuale non funziona. Sembra una macchina con il freno a mano tirato, costretta a procedere a velocità ridotta. Ne sono prova la disoccupazione e le diseguaglianze crescenti, così come l’incapacità di gestire in modo solidale i flussi migratori e di parlare con un’unica voce nelle numerose aree di conflitto ai nostri confini esterni.
Si tratta di problemi ai quali, per la loro scala globale, solo l’Unione potrebbe dare risposta. Nessun Paese europeo può affrontare da solo queste ed altri grandi sfide. Nel tempo che viviamo nessun Paese è un’isola. E’ dunque paradossale prospettare oggi, in piena globalizzazione, la disgregazione dell’Unione e il ritorno ad assetti istituzionali ottocenteschi! Senza una risposta comune il nostro continente è condannato ad una progressiva e pericolosa marginalizzazione. Chi ha a cuore l’Europa non può chiudere gli occhi su questi problemi sperando che la bufera passerà da sola. Perché la bufera passerà soltanto se sapremo riportare il sereno.
Soltanto se sapremo dotare l’Unione di mezzi e forza necessari a rispondere alle aspettative. Occorre dunque reagire, ponendo al centro, al primo posto, il rinnovamento della nostra casa comune. L’Europa per prima – Europe first – perché solo così faremo gli interessi dei nostri concittadini. E occorre farlo subito con azioni realizzabili già a trattati vigenti. Occorre orientare le politiche economiche alla crescita e alla riduzione delle diseguaglianze. Occorre un’Europa che abbia una tripla A sociale e non solo finanziaria. Insomma, l’Europa sociale non può più attendere. Un’Europa capace di essere percepita amica. Se venissero, ad esempio, introdotti un sussidio di disoccupazione ed un reddito minimo di dignità finanziati dal bilancio europeo, la percezione dell’Europa da parte delle persone cambierebbe radicalmente.
A dimostrazione che l’Europa dei diritti non lascia nessuno indietro. Abbiamo dunque bisogno di un adeguato bilancio comune. Chi, giustamente, lamenta l’inadeguatezza della risposta europea alla crisi dovrebbe ricordare che attualmente l’Unione ha un bilancio pari a meno dell’1% del PIL europeo mentre, volendo trovare un termine di paragone, il bilancio complessivo degli Stati Uniti è pari al 25% del PIL.
L’esperienza recente ci ha anche dimostrato che la struttura istituzionale dell’Unione non è adeguata rispetto alle sfide globali. L’esperienza ci ha dimostrato quanto sia sempre più necessario condividere sovranità in tutti i settori in cui l’azione dei singoli Stati risulta inadeguata, per la natura sovranazionale dei fenomeni cui siamo chiamati a dare risposta: dal cambiamento climatico ai flussi migratori, dalla lotta al terrorismo alla crisi finanziaria.
E ci ha insegnato, l’esperienza, che il metodo intergovernativo mette in primo piano gli interessi a breve termine e le logiche di politica interna di ciascun Governo ma rischia di indebolire l’assetto europeo. Abbiamo dunque bisogno di riconsiderare l’architettura europea, di rafforzare le istituzioni comuni più rappresentative, in primis il Parlamento così come la sua cooperazione con i parlamenti nazionali, che non vanno intesi come antagonisti bensì come complementari rispetto ad esso. Ritengo imprescindibile, in quest’ottica di rafforzamento dell’Unione, anche promuovere con maggiore determinazione la cittadinanza europea, il senso di appartenenza dei nostri cittadini ad un’unica comunità.
Occorre che essi siano consapevoli che il benessere di ciascuno dei nostri popoli è precondizione per il benessere di tutti: “United we stand, divided we fall”. Sarei pertanto felice se tutti i nostri Paesi procedessero insieme in questa direzione, verso l’integrazione politica. Ma non ignoro le diversità di vedute su questo punto. Le riserve di alcuni, però, non possono diventare la paralisi di tutti. Per questo va presa in considerazione la possibilità per gli Stati che lo vorranno di procedere verso un’integrazione più stretta, ferma restando la facoltà per gli altri, se e quando lo riterranno, di aderire successivamente.
Cari colleghi, care colleghe, essere europeisti oggi significa prendere atto che se l’Unione si rafforza, su presupposti di crescita e giustizia sociale, tutti i nostri Paesi ne guadagneranno. Perseguire una maggiore integrazione è un esercizio di sano realismo. Realismo – che come diceva Altiero Spinelli – non significa accettare passivamente la situazione così com’è, anche se non ci soddisfa. Significa, al contrario, battersi perché le cose cambino, concretamente. Soltanto quindi ponendo l’Europa al primo posto – Europe first! – riusciremo a dare una prospettiva e un futuro ai nostri figli.”
Laura Boldrini, presidente Camera dei deputati
(17 marzo 2017)