“Non lo dico io”
“Non è così che si favorisce la pace e la convivenza civile. Non lo diciamo noi, ma lo dicono anche famosi scrittori israeliani, lo ha detto, con chiarezza, anche alla Knesset, un grande musicista come Barenboim”.
Se Ennio Flaiano fosse ancora in vita, forse questo vezzo linguistico (qui si tratta dell’ottimo Presidente di una benemerita associazione nazionale) non sarebbe passato inosservato alla sua penna vigile ed affilata. È pressoché un tormentone linguistico, che abbiamo sentito anche in bocca a personaggi ex comunisti (ma i comunisti sono ontologicamente di sinistra?) di così grande levatura e di così grandi meriti da precluderci la possibilità di chiamarli per nome in questa sede.
Poiché non abbiamo più un Ennio Flaiano ma, se è per quello, non abbiamo mai avuto né una Simone de Beauvoir né un suo speculare contrario, questi vezzi dialettici passano inosservati. Come accennavamo dianzi, se Tizio asserisse la sua contrarietà alla politica israeliana, nulla quaestio, ma se invece sostenesse che non lo dice lui, bensì un autorevolissimo personaggio, vorrebbe dire, a contrario, che considera il suo parere non abbastanza autorevole da poter fare a meno del corredo di un’opinione conforme, senza la quale le sue idee sarebbero a dir poco ininfluenti.
Invero, si tratta di un retaggio, duro a morire, del c.d. “fattore K” che, rendendo i comunisti dei soggetti anti – sistema, poneva in essere un problema di credibilità quando si trattava di formulare giudizi interni al sistema stesso. Di lì la necessità non solo di scegliere come leader dei fronti popolari dei non comunisti, ma anche di appoggiarsi idealmente ad opinioni altrui come se, per osmosi, la loro autorevolezza si comunicasse anche a chi le invoca.
Perché un’opinione dovrebbe essere valida se la sostiene Daniel Barenboim? Perché “è un grande musicista”?
In questo caso (perché “è un grande musicista”) dovremmo aderire anche alle idee di Richard Wagner il quale, se non erro, non era un musicista di statura inferiore a Barenboim? Vogliamo disquisire anche di Herbert von Karajan? Wagner scrisse un libriccino edificante dal titolo “Das Judenthum in der Musik” mentre von Karajan ebbe a cimentarsi nell’Anschluss Sonate. Ne consegue che, nel mio piccolo, credo che non direi: “non lo sostengo io, ma lo sostennero Wagner e von Karajan”, se non altro perché solleverei qualche minuta perplessità. Quindi, essere un grande musicista non attribuisce una patente d’autorevolezza politica: la si può avere o meno anche se si suona nella banda del paese e finanche se si è stonati come campane oppure se si è sistematicamente abbonati alle stecche.
Allora, le parole di Barenboim meriterebbero di essere condivise perché le ha potute esprimere alla Knesset? Su questo potrebbe meditare il nostro Presidente, su ciò e sulle conseguenze che ne derivano dal punto di vista della libertà d’espressione e della libertà tout court.
Emanuele Calò
(21 marzo 2017)